Ucraina. Macron, negoziati ancora possibili

Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha annunciato che parlerà presto con l’omologo russo, Vladimir Putin, e ha espresso l’auspicio che i negoziati per mettere fine alla guerra in Ucraina siano “ancora possibili”.
In visita di Stato a Washington, Macron ha dichiarato di voler parlare con Putin nei prossimi giorni. Il presidente francese, a Good Morning America della ABC, ha detto: “Voglio prima fare questa visita di Stato e discutere in modo approfondito con il presidente Biden e i nostri team”. Ma non è nemmeno un caso che Biden lo ha invitato a pranzo in un ristorante italiano.
Volodymyr Zelensky, in un suo recente discorso notturno, ha dichiarato: “L’Ucraina intende imporre limitazioni alle organizzazioni religiose che hanno legami con la Russia  presenti nel Paese. Il Consiglio di Sicurezza e Difesa Nazionale ha incaricato il governo di proporre al Parlamento un disegno di legge per la proscrizione delle attività in Ucraina delle organizzazioni religiose affiliate ai centri di influenza russi. I funzionari della sicurezza nazionale dovrebbero intensificare le misure per identificare e contrastare le attività sovversive dei servizi speciali russi nello spazio religioso in Ucraina”.
L’Ucraina è stata sotto la guida spirituale di Mosca almeno dal XVII secolo, ma una parte della Chiesa ortodossa ucraina ha rotto con Mosca nel 2019 a causa dell’annessione della Crimea da parte della Russia e del sostegno ai separatisti del Donbas. A maggio, la guerra ha indotto il ramo della Chiesa ortodossa ucraina sostenuto da Mosca a tagliare i ponti con la Russia, in una mossa storica contro le autorità spirituali russe. Il Patriarca Kirill, leader della Chiesa ortodossa russa, è balzato agli onori della cronaca in ottobre per aver affermato che il governo del Presidente russo Vladimir Putin è stato imposto da Dio, mentre augurava al leader russo un felice 70.mo compleanno.
Nel frattempo, due sacerdoti redentoristi di Berdyansk, nella regione di Zaporizhzhia, padre Ivan Levytskyi e padre Bohdan Geleta, detenuti illegalmente dalle forze russe, vengono torturati per estorcere da loro la confessione di accuse del tutto infondate.
Ad oggi i padri sono ancora agli arresti e non vi è alcuna comunicazione diretta con loro.
Invece, il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov ha criticato come non cristiane le affermazioni di Papa Francesco che ha definito crudeli i soldati russi appartenenti alle minoranze etniche della Federazione russa che combattono in Ucraina.
Lavrov ha detto: “Papa Francesco ha fatto poco tempo fa delle dichiarazioni per niente comprensibili, assolutamente non cristiane, riguardo due popoli della Russia, dicendo che ci si deve aspettare da parte loro delle atrocità durante i combattimenti militari. Questo non aiuta l’autorità della Santa Sede”. Da alcuni giorni, diversi responsabili di Mosca si sono indignati per quanto ha dichiarato il Papa durante un’intervista a un giornale gesuita, quando ha parlato delle crudeltà compiute da Ceceni e Buriati che combattono nell’esercito russo in Ucraina.
Secondo il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, è impossibile discutere di stabilità strategica con gli Stati Uniti ignorando gli eventi in corso in Ucraina, ed ha detto in una conferenza stampa: “A mio parere è chiarissimo che oggi è impossibile discutere di stabilità strategica ignorando tutto ciò che sta accadendo in Ucraina. Da parte dell’Occidente è stato annunciato l’obiettivo di sconfiggere la Russia sul campo di battaglia o addirittura di distruggerla. Come può l’obiettivo di sconfiggere la Russia non avere un significato per la stabilità strategica, considerando che vogliono distruggere un attore chiave della stabilità strategica? Esiste un rischio enorme che un conflitto con armi convenzionali tra potenze nucleari possa degenerare in una guerra nucleare”.
E’ la ragione per cui la Russia non solo è convinta che una guerra nucleare sia inammissibile, ma anche che sia necessario prevenire qualsiasi conflitto armato fra Paesi in possesso di un’arma nucleare.
Lavrov ha ricordato che i presidenti della Russia, Vladimir Putin, e degli Stati Uniti, Joe Biden, hanno firmato nel giugno 2021 una dichiarazione secondo cui non ci possono essere vincitori in una guerra nucleare, un documento che è stato poi approvato da cinque potenze nucleari. Forse, sarebbe stato meglio firmare un documento per attuare il disarmo nucleare, e non solo una dichiarazione sulle conseguenze di una guerra nucleare che è chiaro anche ad un bambino di scuola elementare.
Lavrov ha aggiunto: “Come ho già detto, siamo pronti ad andare oltre e a dire non solo che non si può scatenare una guerra nucleare, ma anche che qualsiasi guerra tra potenze nucleari è inammissibile. Ma l’Occidente stesso, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia stanno facendo di tutto per aumentare il loro coinvolgimento quasi diretto nella guerra che stanno conducendo contro la Russia attraverso gli ucraini. E’ una tendenza pericolosa”.
In Vaticano, ufficialmente si registrano non meglio identificati tentativi anomali di accesso, ma a mettere insieme i fatti degli ultimi giorni viene fuori un quadro ben più preoccupante. La rete va e viene, rallenta, si riprende, rallenta. Si blocca il sito ufficiale della Santa Sede, più tardi accadrà lo stesso anche a quello dell’Osservatore Romano. Si fa sapere, che è in corso una manutenzione.
Ore dopo filtra qualcosa di più: i tentativi “anomali” sono un attacco hacker. Non è certo un unicum, nella storia recente degli stati e delle grandi organizzazioni internazionali. Quello che colpisce è la tempistica. Tutto, infatti, accade all’indomani delle dure risposte del Cremlino all’intervista rilasciata da Papa Francesco alla rivista “America”, in cui il Pontefice condannava la crudeltà dell’aggressione all’Ucraina e il comportamento delle truppe che agiscono nel paese slavo sotto gli ordini del Cremlino.
Inoltre, non sfugge che un caso analogo si era verificato la scorsa settimana ai danni del Parlamento Europeo, che aveva passato una risoluzione in cui la Russia veniva definita stato sponsor del terrorismo. Per capire, allora, è bene rivedere la più recente cronologia del botta e risposta tra Oltretevere ed il Cremlino.
Poco più di una settimana fa, prima Bergoglio poi il segretario di stato Parolin hanno mandato in momenti diversi lo stesso messaggio poco criptato: si sappia anche perdonare il passato più recente nel nome della pace e del futuro che riporterà l’Ucraina ad essere un giardino rinato dal deserto.
Da questo momento in poi, invece, si moltiplicano i segnali preoccupanti. Prima lo stesso Parolin ammette che “la diplomazia non ha sortito per il momento gli effetti sperati”. Poi il suo vice, monsignor Paul Gallagher, fa sapere che la porta è sempre aperta e la luce sempre accesa per un negoziato, ospitato magari proprio dalla Santa sede, ma che prima c’è bisogno di “iniziative serie”. Ma è il terzo passaggio a far pensare, adesso, che di mediazioni non si potrà parlare prima di un certo lasso di tempo.
È di nuovo Papa Francesco che rilasciando un’intervista ad “America”, la rivista dei gesuiti americani, a ricordare l’anniversario dello sterminio dei kulaki: “Quando parlo dell’Ucraina, parlo di un popolo martirizzato. Se hai un popolo martirizzato, hai qualcuno che lo martirizza. Quando parlo dell’Ucraina, parlo della crudeltà perché ho molte informazioni sulla crudeltà delle truppe che entrano. In genere, i più crudeli sono forse quelli che sono della Russia ma non sono della tradizione russa, come i ceceni, i Buriati e così via. Certamente, chi invade è lo stato russo. Questo è molto chiaro”.
La prima e più immediata reazione giunge nel giro di poche ore dalla portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova: “Questa non è più russofobia, ma una perversione, non so nemmeno a che livello. Negli anni Novanta e nei primi anni 2000, ci è stato detto esattamente il contrario, che i russi, gli slavi torturano i popoli del Caucaso, e ora ci viene detto che sono i popoli del Caucaso che torturano i russi. Devono essere pervertiti della verità”.
Ancor più dura ed esplicita la reazione del leader ceceno Ramsan Kadyrov: “Il capo del Vaticano è semplicemente una vittima della propaganda e dell’insistenza dei media stranieri, il Papa ha definito i ceceni i più brutali dell’esercito russo. Potrei ricordarvi con disprezzo l’Inquisizione, le Crociate. È vergognoso che una personalità religiosa di fama mondiale non conosca l’atteggiamento dei musulmani nei confronti del loro nemico”.
Kadyrov, per primo compie una sorta di rivendicazione identitaria giocata sul piano religioso. Quasi a voler riaprire il solco tra Islam e cristianità che Francesco, dall’inizio del suo settennato, cerca faticosamente di colmare. Da ultimo, alcune ore fa, l’ambasciatore russo presso il Vaticano, Alexander Avdeev, ha protestato formalmente per le parole del Pontefice.
Parlando con l’agenzia Ria Novosti, il diplomatico ha riferito di avere espresso alla Santa Sede la protesta di Mosca: “Ho espresso indignazione per tali insinuazioni e sottolineato che niente può far vacillare la coesione e l’unità del popolo multinazionale russo”.
La questione è divenuta, così, diplomatica. In altre parole: formale, ufficiale. Il black-out della Rete in Vaticano diviene così un black-out, parziale magari ma sempre pesante, della mediazione.
L’Unione Europea va in pressing sulla Cina per convincere il presidente russo, Vladimir Putin, a fermare la guerra in Ucraina e sollecita Pechino ad avere relazioni più equilibrate con Bruxelles, senza dipendenze eccessive. Con questo messaggio, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, è arrivato a Pechino, dove ha incontrato il presidente cinese, Xi Jinping, per un colloquio durato circa tre ore su tutti gli aspetti della relazione dell’Unione europea con la Cina, come ha scritto in un messaggio su tweet il presidente del Consiglio Europeo.
La guerra in Ucraina ha avuto un ruolo di primo piano nei colloqui: Michel ha chiesto a Xi di usare la propria influenza sul presidente russo, unendosi agli appelli analoghi pronunciati il mese scorso dai leader di diversi Paesi europei. Il presidente del Consiglio europeo, al termine dei colloqui, in conferenza ha sottolineato: “Il presidente cinese ha chiarito che la Cina non fornisce armi alla Russia e ha chiarito che la minaccia nucleare non è accettabile e fortemente pericolosa”.
Da parte cinese si registrano, però, pochi scostamenti dalle posizioni già espresse in passato. Xi ha detto: “Risolvere la crisi con mezzi politici è nel migliore interesse dell’Europa e nell’interesse comune di tutti i Paesi dell’Eurasia. La Cina continuerà a svolgere un ruolo costruttivo a modo suo”.
Sul dossier delle relazioni bilaterali, Michel ha poi puntualizzato che l’Ue vuole “relazioni più equilibrate”, e più reciprocità con la Cina, “senza dipendenze eccessive”. Il dialogo sembra incagliarsi sulle aperture del mercato cinese, con Michel che denuncia le difficoltà delle imprese Ue in Cina, a cui si somma l’imprevedibilità dei lockdown e delle restrizioni anti-Covid.
Michel ha detto: “Dobbiamo identificare quali sono gli ostacoli concreti, un trattamento alla pari per le aziende europee in Cina”. Pechino promette di proseguire lungo la strada delle aperture, ma auspica che l’Ue elimini le interferenze e fornisca alle aziende cinesi un ambiente commerciale equo e trasparente.
Uno spiraglio da parte di Pechino sembra intravedersi nel dialogo sui diritti umani, purché avvenga sulla base dell’uguaglianza e del rispetto reciproco, come ha detto Xi. Nel corso dei colloqui con il presidente cinese, Michel ha affermato di avere parlato anche della situazione nello Xinjiang, dove il governo cinese è accusato di violazioni dei diritti umani ai danni degli uiguri, ma del passaggio non c’è menzione sui media cinesi che hanno riferito dell’incontro.
Durante la visita di Michel a Pechino c’è stato spazio anche per toccare i grandi temi globali, come il cambiamento climatico e la crisi energetica, e i temi regionali. Michel, citando in particolare la Corea del Nord ed il Myanmar, ha anche detto: “L’Unione Europea ha un forte interesse per la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan e nel Mare Cinese Meridionale, è importante promuovere la stabilità in Asia orientale”.
Nonostante posizioni differenti, sia la Cina che l’Ue manifestano la volontà di continuare a parlarsi: Michel ha chiesto che i canali di comunicazione rimangano aperti e vengano usati in maniera efficace, mentre Xi chiede all’Ue di avere una comprensione obiettiva e corretta della Cina e si dice pronto a mantenere la comunicazione e la consultazione in modo costruttivo.
Sull’esempio dell’ex leader Jiang Zemin, scomparso ieri all’età di 96 anni, il presidente cinese ha aggiunto: “La Cina intende lavorare per consolidare le relazioni”. La visita di Michel a Pechino giunge in un momento complicato, per le manifestazioni contro le restrizioni della linea di zero Covid del governo cinese, le più estese degli ultimi decenni e le più grandi da quando Xi si è insediato al vertice dello Stato, nel 2013.
Sul Covid-19, il presidente del Consiglio Europeo ha affermato: “Le società europee sono pronte a dare i vaccini, se saranno approvati dalle autorità cinesi”. Infine, ha ricordato che la libertà di assemblea è per l’Ue un diritto fondamentale, garantito da strumenti internazionali e dalle Costituzioni nazionali.
In Russia la guerra pesa sul morale dei russi che temono nuove mobilitazioni e che il Paese sia stato condotto in un vicolo cieco. Non riescono a immaginare il loro futuro. La maggioranza vuole la pace, secondo quanto emerge dagli studi sull’opinione pubblica condotti a novembre dal centro statistico Levada, come ha anticipato a Fanpage.it il sociologo responsabile della ricerca: “Se Vladimir Putin ricorresse ancora alla coscrizione obbligatoria, e ci sono indizi che lo farà,  potrebbe alienarsi la popolazione. Soprattutto le donne”.
Alexey Levinson, da Mosca, ha spiegato: “La gente non vede come la Russia potrà uscire dalla situazione in cui si è messa in Ucraina, e ritiene che neanche al Cremlino lo sappiano. Il Centro Levada è indipendente dal governo, che lo ha dichiarato agente straniero ma si guarda bene dal chiuderlo: i sondaggi indipendenti servono anche a Putin”.
Nella scorsa settimana, il sociologo Levinson ha condotto una serie di focus group in diverse città ed ha comunicato le sue osservazioni: “La cosa che preoccupa i russi è la mancanza di comprensione del possibile esito di tutto questo. Non riescono a raffigurarsi un futuro, un ‘dopo’. Non si capisce quali siano gli obiettivi della guerra. Così aumentano sempre più le persone favorevoli a negoziati di pace”.
Si rafforza quindi la tendenza rilevata in ottobre, quando già il 57% degli intervistati era a favore della trattativa. I dati raccolti nell’ultimo mese sono in fase di elaborazione e verranno pubblicati solo nei prossimi giorni. Ma registreranno con ogni probabilità un ulteriore aumento dei pacifisti. Sono soprattutto le donne che vogliono la fine del conflitto, come rivela Levinson con questa osservazione: “È un fatto importante: la parte femminile della società è ora leader del ‘partito della pace’. Che non è un vero partito né è necessariamente contro Putin ma, almeno al momento, è in evidente disaccordo con lui sul da farsi in Ucraina”.
Il movimento “Resistenza femminista contro la guerra”, insieme a un gruppo di iniziativa di madri dei soldati mobilitati tra settembre e ottobre, ha appena pubblicato una lettera aperta che chiede la fine delle ostilità e la ritirata delle truppe russe dal territorio ucraino. Il documento è indirizzato ai parlamentari della Duma e del Consiglio della Federazione. Contiene anche un appello per l’adozione di leggi contro la violenza domestica. Oltre 32.500 vittime l’anno, secondo i dati statistici. Ma in Russia, a meno che le lesioni non siano gravi, picchiare ogni tanto la moglie non è un reato: Putin lo ha depenalizzato nel 2017.
L’attivismo delle donne contro la guerra si è intensificato, nelle ultime settimane. Si sono costituiti comitati di mamme e mogli dei coscritti, per rivendicare quantomeno i diritti di chi è stato spedito sui fronti ucraini senza neanche un addestramento e un equipaggiamento adeguati. Hanno chiesto più volte di incontrare il presidente.
La pagina del più insistente e critico di questi comitati su VKontakte, il Facebook made in Russia, è stata bloccata dalle autorità. Ma il presidente, alla fine ha ricevuto un gruppo di madri di soldati. In realtà è stata solo una farsa: erano tutte dame dell’alta società putiniana, secondo quanto ha scoperto il canale Telegram Mozhem Obyasnit, che ha commentato: “Gente che nemmeno sotto tortura farebbe mai una domanda scomoda allo zar”.
Il sociologo Levinson ha commentato: “È tuttavia un segnale importante, chiunque fossero quelle signore: per la prima volta il leader del Cremlino ha riconosciuto che c’è qualcosa che non va, e che i problemi legati al conflitto in corso sono socialmente sensibili, perché stanno toccando i sentimenti di molte persone”.
Le madri dei soldati in passato hanno avuto un ruolo importante nel contrastare le avventure belliche di Mosca. Negli anni ’80 furono le prime a opporsi alla guerra in Afghanistan. Durante la prima guerra cecena, alla metà degli anni ’90, furono protagoniste di azioni di protesta clamorose diventando il simbolo dell’opposizione pubblica al conflitto, tra i principali motivi che convinsero Boris Yeltsin, il presidente di allora, a dichiarare il cessate il fuoco e a firmare poi un trattato di pace.
Nella Russia di Putin, però, non c’è da aspettarsi alcunché di simile, secondo Levinson. “La realtà sociale è completamente diversa rispetto a quella dei tempi di Gorbachev o di Yeltsin. La repressione del dissenso e la pressione dei servizi di sicurezza e della polizia hanno colpito la propensione a protestare. È già molto che nei sondaggi oggi si possa anche solo pronunciare la parola ‘pace’: nei primi mesi della ‘operazione speciale’ in Ucraina era proibita. Inoltre, adesso a criticare il Cremlino non sono tanto le mamme quanto le mogli dei coscritti. Ed è una circostanza ricca di conseguenze, perché la madre nella cultura russa gode di un prestigio che la moglie non ha. Meno influenza sulla società, quindi. D’altra parte, l’età più giovane delle potenziali nemiche del regime e la loro maggior presenza nelle attività lavorative potrebbero nel lungo termine creare non pochi fastidi a Putin”.
Fatto sta che anche un nuovo richiamo alle armi probabilmente non provocherebbe rivolte. A Mosca tutti se lo aspettano. La mobilitazione parziale proclamata a fine settembre è stata dichiarata conclusa ma il decreto che la istituiva non è mai stato annullato. Ci sarà pure un motivo. Intanto, è stata annunciata una riorganizzazione degli uffici di leva. Potranno contare su un database elettronico unico dei possibili coscritti, con informazioni particolareggiate su ognuno. Numeri di telefono e indirizzi e-mail compresi. Lo scopo è quello di evitare che si ripeta il caos verificatosi con la prima mandata di reclutati, quando sono state richiamate persone disabili e sono sfuggiti alla cartolina molti degli effettivamente arruolabili.
Le ragioni per mandare altri ragazzi russi a morire ci sono tutte, dal punto di vista del Cremlino: fonti militari e dei servizi segreti hanno raccontato al sito di notizie Important Stories che il governo prevede 100mila perdite entro l’estate tra gli ultimi mobilitati. E che intende rimpiazzare i caduti ed i feriti con 120mila reclute. Putin non abbandona l’obiettivo di prendere Kyiv ed è pronto a combattere per anni, secondo quanto dicono le stesse fonti.
Alexey Levinson ricorda: “Secondo lo Stato maggiore delle forze armate ucraine, una mobilitazione nascosta inizierà già dal prossimo 10 dicembre, in Russia. L’impatto sociale sarebbe drammatico. Prima della mobilitazione di fine settembre i cittadini, sottoposti a una martellante propaganda secondo cui tutto andava bene, erano rimasti praticamente indifferenti alla guerra in Ucraina. Poi, tutto è cambiato. La mobilitazione ha portato la guerra nelle case. È stata una sveglia per tutti, non solo per i richiamati e per le loro famiglie. Ed è già costata una catastrofe nazionale, con centinaia di migliaia di giovani che son scappati all’estero lasciando indietro i loro cari. Alla mancanza di una prospettiva chiara sul loro futuro i russi sono allenati. Il regime attuale è sempre stato silente rispetto al futuro, non per qualche arcano motivo di segretezza ma proprio perché non ne ha alcuna idea”.
Durante la preparazione di questa guerra e ancor più dopo l’invasione, Putin ha creato per il suo Paese una sorta di ideologia fondata sui cosiddetti valori tradizionali, sulla contrapposizione all’Occidente e su un imperialismo volutamente malcelato. Ricorrendo ai miti della Storia patria, e quindi al passato, si vogliono stimolare le coscienze e compensare la mancanza di chiarezza sul futuro. La guerra, intanto, serve a stringere la gente intorno alla bandiera.
Il sistema creato nel corso degli ultimi vent’anni da autoritario sta trasformandosi in totalitario e quindi, come dicono alcuni politologi, necessita della mobilitazione delle masse per auto conservarsi. Non bastano più l’apatia e l’indifferenza.
Il sovrano chiama i cittadini a un impegno attivo. Niente più della mobilitazione militare può rappresentare questo impegno. La ricerca di Levada indica però che la mobilitazione militare per i russi è solo “uno shock tremendo che alimenta il pessimismo”, altro che entusiasmi totalitari.
La prosecuzione della guerra e l’invio di nuova carne da macello sui fronti ucraini, se avverrà, non porterà forse a una Rivoluzione russa del terzo millennio. Ma sulla società russa avrà conseguenze opposte a quelle cercate dal presidente. Si allontaneranno sempre più le coscienze dei cittadini dalle torri del Cremlino, con effetti che a lungo andare potrebbero diventare fatali, per il totalitarismo ibrido di Vladimir Putin.
Dovrebbe apparire chiaro ai lettori che le vie della pace in Ucraina non sono né quella cercata da Macron con il dialogo impossibile tra Biden e Putin, né quella religiosa intrapresa dal Vaticano e nemmeno quella che potrebbe scaturire dal dialogo tra Unione europea e Cina. Indubbiamente tentativi tutti apprezzabili.
La soluzione per la pace in Ucraina, invece, va cercata all’interno della Russia con i movimenti di opposizione che finiranno per rovesciare il neo totalitarismo instaurato da Putin.

 

Salvatore Rondello

Ucraina. Macron, negoziati ancora possibili – Avanti