Vangelo e stereotipi patriarcali

Un volumetto di sole cento pagine, scritto con un linguaggio chiaro e dal titolo decisamente intrigante, Gesù oltre gli stereotipi patriarcali, frutto di un corso online sullo stesso tema tenuto all’inizio dell’anno 2022 da Annamaria Corallo, dedicato alla mamma che le «ha insegnato a credere senza rinunciare a pensare» e pubblicato di recente dalle Edizioni La Meridiana di Molfetta (BA), una casa editrice particolarmente attenta alle tematiche religiose di confine.

Teologa biblista, docente incaricata presso la Pontificia Università Gregoriana per la cattedra di Introduzione al Nuovo Testamento e presso l’Istituto superiore di scienze religiose di Benevento dove insegna Didattica delle religione, esperta in metodologie formative interattive, autrice di numerosissime pubblicazioni di teologia biblica, di manuali metodologici per gruppi biblici, di sussidi catechetici, Annamaria Corallo è altresì presidente dell’Associazione Getta la rete che, a Napoli, opera nell’ambito della promozione umana attraverso l’arte e la spiritualità.

Del giornale online www.gettalarete.it cura la rubrica Una Bibbia trasgressiva, «uno spazio di ricerca e di confronto intorno alla riflessione su Dio, che parte dalla Bibbia, per riscoprirla custode di senso e di pienezza per la vita di ciascuno e ciascuna di noi».

Di questa bella rubrica merita riportare integralmente le motivazioni. «Tradizionalmente, il mondo è pensato come diviso tra sacro e profano. Il mondo del sacro è quello divino. Lo crediamo uno spazio accessibile solo agli addetti ai lavori, interessati a riflettere su Dio attraverso la teologia e a dialogare con lui nella spiritualità. Dall’altra parte, ci sarebbe poi il mondo del profano, relegato fuori dal recinto sacrale di Dio, come spazio dell’umano, con le sue preoccupazioni e le sue speranze.

Ma tra le pagine bibliche incontriamo Gesù di Nazaret: lui ci mostra il volto di un Dio che abbatte le barriere tra sacro e profano. Ciò che sta a cuore al Dio amante e vitale che egli presenta non è il culto, ma è la vita concreta di ogni essere umano, la sua felicità e la sua realizzazione piena. La Bibbia ha molto da dirci in questa direzione, ma solo se ne cogliamo la valenza trasgressiva, ossia se lasciamo che ci porti oltre (in latino: transgredior), oltre i nostri pregiudizi su Dio, sulla Scrittura e sulla spiritualità».

Con Gesù oltre gli stereotipi patriarcali Annamaria Corallo, scorrendo le pagine del racconto evangelico di Marco e considerando alcune figure da esso offerte «come modelli di libertà interiore e apertura alla logica del regno di Dio» (p. 99), da un lato, ci mostra come «la prassi di Gesù e le sue parole hanno corroso le fondamenta della società patriarcale del I secolo e hanno offerto a noi sentieri di una liberazione sempre possibile» (p. 101) e, dall’altro, ci guida alla scoperta di indicazioni preziose per vivere nel nostro oggi come discepole e discepoli di Gesù di Nazaret, «l’uomo che ha mostrato il volto più nitido di Dio al punto da essere riconosciuto come suo Figlio» (p. 9). Colui che, con le sue scelte e le sue parole, ha mostrato il sogno di felicità che Dio ha per ciascuna persona (p. 83).

Struttura del saggio

Essendo frutto di un corso online e in quanto «percorso non esaustivo ma esplorativo» (p. 10), il saggio, lucido e persuasivo, che può rientrare nel filone dell’approccio femminista alla Bibbia, ha una struttura molto semplice.

In una brevissima introduzione l’autrice presenta i tre termini di riferimento: Gesù, nella cui vita, azioni e parole si scorge il volto amante e vitale di quel Dio che egli «chiamava Padre e del quale parlava con i lineamenti di una Madre» (p. 9); stereotipo (dal greco στερεός/ duro e τύπος/immagine), termine che dice «rigidità e assenza di ricerca» ed esprime convinzioni radicate nel senso comune ma generalmente destituite di fondamento; patriarcato, come «sistema di dominazione permanente e strutturale da parte dell’uomo, in quanto maschio, su donne, bambini, bambine e – in generale – i vulnerabili della società», che opprime tanto le donne quanto gli uomini «perché impone aspettative, ruoli e norme che devono essere seguite da tutti e tutte, fino ad appiattire ogni originalità sul suo stereotipo statico» (pagg. 9-10).

Nei cinque agili capitoli si sofferma sulla proposta antipatriarcale che il vangelo di Marco custodisce relativamente alle aspettative sociali che imprigionano le persone in funzioni vincolanti (pagg. 11-23 «Oltre le aspettative sociali»), alle attese familiari e genitoriali che accompagnano il cammino di ogni persona (pagg. 25-40 «Oltre le aspettative familiari»), al complesso mondo della sessualità da accogliere e da orientare verso la felicità di ogni persona (pagg. 41-59 «Oltre i rigidi ruoli di genere»), alle unioni d’amore liberate da ruoli fissi e immobilisti e vissute all’insegna della reciprocità e di una crescita umanizzante (pagg. 61-83 «Oltre il matrimonio patriarcale»), al modo con cui Gesù guarda gli uomini e le donne scegliendo la via della prossimità degli ultimi e degli sconfitti della storia come i bambini e le vedove (pagg. 85-98 «Oltre i modelli patriarcali»).

Nella conclusione, anch’essa sintetica, Annamaria Corallo ripercorre a grandi linee il contenuto dei cinque capitoli al fine di maturare uno sguardo d’insieme di quell’umanità di Gesù così liberante e così aperta all’amore di Dio fino a divenirne trasparenza (p. 99).

«Dio, patria e famiglia non sembra essere lo slogan preferito da Gesù»

La prima pagina del racconto evangelico di Marco mette in scena la figura di Giovanni il Battista che ha il compito di preparare l’ingresso del protagonista del suo vangelo (notizia fonte di gioia), che è Gesù di Nazaret, riconosciuto come Cristo e Figlio di Dio.

Profeta del deserto, appartenente a stirpe sacerdotale, senza casa e privo di legami familiari, Giovanni, invece di collocarsi nel solco del proprio padre anziano Zaccaria (come ci informa il vangelo di Luca), si pone in aperta polemica con il sistema religioso e sociale del suo tempo fondato su tre pilastri: patria, famiglia e Dio.

Egli contravviene alla logica parentale necessaria all’ideale di patria in quanto non interessato a sposarsi e ad avere una discendenza o a garantire il proprio patrimonio e la longevità all’interno del proprio clan costituendo un suo nucleo familiare.

Ma ciò che più spiazza è constatare che la scelta di vita di Giovanni viene presentata dal racconto evangelico di Marco «come risposta a un appello divino: il Battista ha un folto seguito che lo riconosce come inviato da Dio. E, cosa determinante, tra la folla, spicca il volto di Gesù» (p. 18).

Facendosi battezzare da Giovanni, Gesù dimostra di riconoscerne l’autorità morale, spirituale e religiosa.

Egli, predicatore itinerante, chiama a seguirlo quattro uomini che lasciano qualcosa: il lavoro (Simone e Andrea) e il padre con i salariati (Giacomo e Giovanni). Così facendo, Gesù prende le distanze dal ruolo sociale che le appartenenze familiari e sociali imponevano. «Gesù chiama a disattendere l’aspettativa della cultura patriarcale che chiedeva continuità lavorativa» (pag. 20).

A far parte del gruppo discepolare Gesù chiama non persone che incarnano l’ideale di un gruppo fondato su parametri etnico-tribali, ma persone disponibili ad essere coinvolte in una nuova proposta religiosa e sociale sganciata dalle logiche patriarcali della patria o della famiglia che ne garantisce la sussistenza etnica: logiche destinate a deformare il vero volto di Dio, «deturpandolo come fosse una divinità tribale o uno stendardo del proprio piccolo interesse partigiano» (p. 23).

Gesù accetta che, al suo seguito, ci siano sia uomini sia donne: prassi impensabile per la cultura patriarcale del tempo che non permetteva la presenza di donne nelle “scuole” dei maestri.

«Il vangelo si colloca in una logica di discontinuità liberante, che apre a nuove prospettive relazionali». Ad essere curata non è la sopravvivenza etnica, ma «la sopravvivenza della nostra personale umanità». Ad essere tutelato non è il patrimonio economico familiare, ma «il nostro patrimonio spirituale e affettivo». Oggetto di onore non è un inesistente dio tribale, ma «la vita che sgorga dal cuore del Dio vivente» (p. 23).

«Dio su di noi non ha aspettative, ma solo sogni»

Nella tradizione biblica l’onore ai genitori è percepito in continuità con l’onore dovuto a Dio. I genitori sono investiti di un’autorità praticamente di origine divina (p. 27).

Gesù è consapevole dell’importanza del comandamento «onora il padre e la madre». Talmente consapevole da ridefinire le regole della sua collocazione familiare: madre, padre, fratelli e sorelle sono le persone che stanno sedute attorno a lui nella sola modalità che conta: fare la volontà di Dio (Mc 3,35).

Il senso pieno dell’onore dovuto ai genitori non risiede in un’obbedienza cieca e acritica nei loro confronti, in ossequio ai ruoli patriarcali prefissati, «ma piuttosto nella dimensione relazionale di tutela e di custodia vicendevole della vita altrui. Se i figli e le figlie adulti devono prendersi cura dei genitori con amore e dedizione, i genitori devono rispettare la libertà dei figli e delle figlie, permettendo loro di essere ciò che sentono profondamente vero e realizzante per la propria vita» (p. 39).

«Noi – ne deduce Annamaria Corallo – non siamo nati per assecondare le aspettative di nessuno. Neanche quelle di Dio. Perché Dio su di noi non ha aspettative, ma solo sogni. Il sogno è un orizzonte di realizzazione nel quale si può crescere investendo tutta la propria fantasia, volontà e tenacia. Il sogno di Dio è la nostra completa umanizzazione, da compiere coltivando relazioni capaci di farci essere tutto quello che possiamo essere» (p. 40), crescendo nell’amore generoso ed espansivo. Il vero senso dell’onore dovuto al padre e alla madre è essere figli e figlie realizzati (p. 100) umanamente e spiritualmente.

«Dio non può volere che ci siano persone condannate all’infelicità»

Il Vangelo ha qualcosa di liberante da dirci anche in tema di stereotipi di genere riguardanti le aspettative rigide sui comportamenti maschili e femminili richiesti da un determinato contesto socio-culturale. Esso ci parla «del volto di un Dio vitale e amante, creativo e creante, che vuole la piena felicità per i propri figli e le proprie figlie» (p. 59).

Originali intuizioni in tema di vangelo liberante anche in materia di ruoli di genere emergono dalla lettura che l’autrice fa del capitolo quinto del racconto di Marco che narra la liberazione in terra pagana di un uomo posseduto da una moltitudine di spiriti immondi e di un doppio miracolo di Gesù tutto connotato al femminile: la guarigione della donna siro-fenicia che da dodici anni soffre di mestruazioni irregolari e ravvicinate e il reinserimento nella vita normale e piena della figlia dodicenne di Giairo ritenuta morta. Un testo nel quale Gesù incontra un maschile e un femminile feriti dai condizionamenti posti dalla società patriarcale e prospetta loro «strade di libertà e di dignità» (p. 49).

All’uomo posseduto da una «legione» di spiriti impuri e costretto a vivere emarginato tra i sepolcri, compiendo continui atti di autolesionismo perché «probabilmente c’è qualcosa di sé che non accetta e vuole cancellare con la forza» (p. 51), Gesù si rivolge chiedendogli il nome. Così facendo, lo mette a suo agio e lo riconosce come persona bisognosa di liberazione (p. 52).

Nel guarire la donna emorroissa Gesù «la spinge a prendere in mano la sua storia e ad uscire dall’anonimato impaurito nel quale gli altri l’hanno relegata» e, in una società ossessionata dall’impurità, la libera «dalla vergogna di sentirsi inadeguata» (p. 57).

Mentre, nella «guarigione» della figlia di Giairo, l’autrice vede il desiderio di Gesù di liberare la ragazza dal condizionamento e dalle pretese paralizzanti della tutela e della dipendenza paterna, rendendola protagonista della propria vita (p. 58).

«Ciascuna e ciascuno è dotato di una dignità propria che merita rispetto e tutela»

Commentando la risposta data da Gesù a chi gli chiede se sia lecito ripudiare la moglie o di chi nella risurrezione sarà moglie la donna rimasta vedeva dopo aver sposato sette mariti, la prof. Corallo dimostra come, in aperta e profetica polemica con un certo modo patriarcale e androcentrico di intendere il matrimonio, Gesù, nella veste di rabbi celibe, si pronunci contro il ripudio che lascia le donne senza sostegno economico e prenda le distanze da chi vede nella donna un mero strumento di procreazione.

«Il privilegio androcentrico di decidere le sorti di una donna non può essere tollerato da chi, come Gesù, annuncia con la vita e le parole il volto di un Dio amante e vitale, attento alla felicità di ogni singola creatura. In questo modo, Gesù condanna il modello patriarcale di matrimonio, fondato sul privilegio e la dispotica gestione della vita altrui che concedeva al marito il diritto di disporre della vita della moglie» (pagg. 78-79).

Il progetto di Gesù di un’unione tra due persone fondata sul desiderio di essere «una sola carne» (Gen 2,24) si costruisce giorno dopo giorno: è «un processo sempre in divenire e mai compiuto, che si regge sul desiderio di bene per l’altra persona. Per questo non è pensabile un ripudio che lascia la partner priva di tutele e sicurezza per la vita» (pagg. 77-18).

«L’ossessione procreativa non appartiene alla vita dei risorti, perché semplicemente non appartiene alla vita autentica […]. Nessuno, per valere, deve essere sposato o generare figli. Nessuno e nessuna può essere ridotto a un ingranaggio nel sistema sociale e familiare. Neanche per finalità religiose. Ciascuna e ciascuno è invece dotato di una dignità propria che merita rispetto e tutela» (pagg. 81-82).

«Con Gesù il marginale diventa centrale»

Tra le persone che stanno particolarmente a cuore a Gesù e che il sistema patriarcale ignorava del tutto vi sono i bambini e le vedove.

Nella scala sociale, i bambini erano collocati dopo le donne e prima degli schiavi. Non avendo diritto all’eredità del marito, che passava ai figli o tornava al clan di provenienza, la donna vedova si trovava in una situazione particolarmente instabile e poteva sperare solo nell’assistenza dei figli. Per le vedove senza figli «si profilava un futuro di stenti e mendicità, se non peggio» (p. 94).

Gesù mostra come modello di accoglienza del regno di Dio proprio i bambini e le donne vedove: i bambini, non perché ingenui o innocenti, ma perché curiosamente, generosamente e vivacemente aperti alla vita con la loro voglia di imparare e di crescere; le donne vedove, povere e prive di legami, senza tutele e senza sicurezze, soprattutto quando non hanno figli.

È quanto emerge da tre famose scene evangeliche. In una Gesù invita i suoi discepoli ad accogliere il regno di Dio con la disponibilità tipica dei bambini.

In un’altra Gesù, volendo proporre uno stile di servizio che deve caratterizzare la vita di coloro che si mettono alla sua sequela, mette al centro un bambino.

Nella terza esalta il comportamento di una povera vedova che mette nella cassetta delle offerte del tempio tutto quanto aveva, cioè due monete da cinque centesimi di euro (p. 96), una cifra risibile che, però, agli occhi Gesù ha un valore immenso perché, così facendo, la vedova non ha attinto al superfluo, ma ha intaccato il poco che le permette di vivere.

Con Gesù, il marginale diventa centrale, il debole diventa punto di riferimento, il privato dei diritti diventa il modello a cui guardare (p. 92).

La via scelta da Gesù è quella della piccolezza, dell’inevidenza e della prossimità con gli ultimi.

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