Liberi come il vento. Intervista a Il Muro del Canto

Andrà tutto bene, si diceva. Col cazzo invece. La band romana (e romanesca) Il Muro del Canto si sveglia dalla pandemia più pessimista di prima e torna con un lavoro di inediti, Maestrale (pubblicato il 16 giugno da Fiorirari), dai toni oscuri, caratterizzato come al solito da una produzione musicale sopraffina e testi profondi, pregni di significati e con un sacco di riferimenti anche alle tematiche odierne e a ‘sta zozza società. «Per il futuro la vedo nera», ci dice il leader della formazione capitolina, Daniele Coccia Paifelman, e come dargli torto. E se nel disco se la prende coi padroni e col “sistema”, anche in questa chiacchierata con SA non risparmia stilettate. Leggete un po’…

Dopo quattro anni tornate con un album di inediti, ma come ben sappiamo tutti, questi quattro non sono stati anni qualsiasi, specialmente gli ultimi due. Come avete trascorso questo periodo di lockdown, mascherine e chiusure forzate?

Diversamente dal solito, non c’è dubbio. Prima facevamo un album ogni due anni, quindi senza pandemia probabilmente il disco sarebbe uscito nel 2020 o giù di lì, invece stavolta abbiamo dovuto aspettare il doppio del tempo perché non si poteva fare uscire niente e fare concerti era impossibile. Anche pubblicare il disco in estate è una cosa inusuale per noi ma così abbiamo potuto assicurarci almeno i concerti estivi, nella malaugurata ipotesi (speriamo di no) che ad autunno fossimo di nuovo tutti costretti a fermarci. Nel caso invece filasse tutto liscio andremo avanti normalmente con date autunnali, invernali e oltre.

Per lavorare all’album, a questo giro vi siete ritirati in campagna…

Sì, la vigna di mio nonno a Zagarolo, in provincia di Roma. Bello, ma eravamo anche costretti a vederci all’aperto per via dei distanziamenti e tutto il resto. Un periodo complicato anche perché d’inverno non potevamo incontrarci, con i contagi e le quarantene da contatto è stato tutto più difficile e i tempi si sono dilatati. Però siamo comunque riusciti a scambiarci file e e-mail e portare così a termine il lavoro nel migliore dei modi.

Perché l’avete intitolato Maestrale?

Volevamo dargli un connotato naturale visto appunto il lungo periodo di isolamento forzato che ci ha portato immancabilmente anche solitudine. Ci siamo ritrovati nell’arte e nella natura e volevamo un titolo che sintetizzasse qualcosa che porta via le nuvole, un vento appunto, e ne volevamo uno dal nome che suonasse bene e ci piacesse. Il maestrale poi è anche un richiamo alla romanità perché spira da nord-ovest e punta verso Roma, Magistra Mundi.

Per voi è un disco all’insegna del cambiamento, in primis perché avete cambiato casa discografica (ora escono per Fiorirari, ndSA) e poi perché anche al vostro interno, durante la lavorazione, vi siete più volte scambiati i ruoli e allargato la line-up a Franco Pietropaoli (chitarra), il quale ha anche prodotto il lavoro. E’ corretto parlare di svolta?

Sono cambiate molte cose, certo, la più sostanziale delle quali è stata l’entrata di Franco in pianta stabile. Il suo contributo è stato importante, si è occupato di molte cose, da come assemblare il disco alle liriche, agli arrangiamenti (la chitarra elettrica è sempre fondamentale per noi), e ci siamo trovati molto bene con lui, il suo innesto si sente. In più abbiamo diminuito le fisarmoniche a beneficio dell’organo e Alessandro Pieravanti (percussioni e voce narrante, ndSA) stavolta canta pure. Infine io ho contribuito con una poesia dedicata al maestrale che mi è sembrato carino mettere all’inizio del disco come introduzione parlata, un genere di cose che di solito faceva appunto Alessandro.

I cambiamenti del resto sono dovuti alla maturità e alla maggiore conoscenza che c’è fra noi; anche come sound abbiamo fatto cose diverse per non ripeterci, benché ci sia del classico anche in quest’opera. Abbiamo cercato di innovarci un po’, spero si senta e che venga percepito in modo positivo. Però è anche importante che si senta che è un disco nostro, perché negli artisti che ho amato mi è sempre piaciuto il cambiamento, a patto però che non fosse fatto male o che fosse troppo grosso. L’evoluzione dipende da come la si fa.

Alcune delle caratteristiche che da sempre vi contraddistinguono sono la profondità d’animo e la poeticità che promanano dai testi, quell’inquietudine anche spirituale, se vogliamo, ma una spiritualità laica, atea. Come vi ponete sul tema religioso?

La religione fino prova contraria è un richiamo che l’uomo ha sempre avuto e avrà sempre, abbiamo molto rispetto della religiosità in tutte le sue forme, poi certo ognuno di noi cerca di coltivare la sua parte spirituale al meglio che può. Non siamo cattolici, non siamo cristiani e siamo anche contrari a molti atteggiamenti tipici della cristianità; però siamo vicini alla figura di Gesù Cristo, una figura portante per l’umanità e da cui siamo affascinati, così come siamo vicini ad altre discipline come il buddismo, ad esempio.

In ogni caso, non siamo praticanti, rispettiamo profondamente certi argomenti e credo che questo si percepisca ad esempio in un pezzo come La Voce Della Luna, dove ci sono riferimenti a San Francesco e al buddismo appunto. Prima o poi, vuoi o non vuoi, in una persona con un minimo di sostanza la spiritualità esce fuori, con l’età poi la propensione aumenta, non perché uno pensi alla morte ma perché fa parte del corso naturale delle cose. Sul discorso della poeticità, invece, va detto che io e Alessandro, parallelamente all’attività di musicisti, abbiamo sempre scritto cose nostre – poesie, racconti, ecc. -, è una cosa congenita per noi e la musica risente delle nostre esperienze fuori dal gruppo.

Due tra i nuovi brani che più mi hanno impressionato sono Lasciame Sta’ e Cenere e Carbone. Come sono nati?

Lasciame Sta’ l’ha scritta Alessandro e quindi te ne potrebbe parlare meglio lui. Però posso dire la mia. All’inizio gli altri della band non erano molto convinti di questa canzone mentre a me è piaciuta fin dal primo ascolto. Ha un testo molto bello e non c’è una frase sbagliata. L’ho sposata fin dal principio, non avendola scritta me la godo e basta, e sono contento che stia piacendo. Cenere e Carbone invece è un pezzo abbastanza difficile, è complesso nelle immagini e nel senso, e pure a me che l’ho scritto risulta difficile spiegarlo, anche se con un po’ di impegno posso farcela. Abbiamo rischiato a metterla come terza traccia (seconda se si esclude l’intro, ndSA), però per fortuna sembra che piaccia.

Voi siete una band dal portato d’antan, vi rifate a sonorità e riferimenti “vecchi” nel senso più nobile del termine. Com’è svolgere il vostro mestiere e rifarsi a una determinata estetica nel 2022, con Spotify, i social e tutto il resto?

Ci sono i pro e contro, come in tutto. Con Spotify non ti arricchisci di certo e facciamo sempre uscire il supporto fisico perché il nostro pubblico lo compra, ai nostri concerti si acquistano molti CD, quindi abbiamo sì ascoltatori giovani abituati alla musica liquida ma anche persone meno giovani ancora affezionate all’oggetto. Cerchiamo di adattarci, non vogliamo essere dinosauri nostalgici, benché io propenda per le cose fatte all’antica. Ho solo Facebook e fosse per me uscirei pure da quello, però è anche vero che un minimo di riconoscenza al mezzo che ci ha permesso di farci conoscere da molti ragazzi è dovuto.

Hai parlato di supporto fisico, qual è il tuo preferito?

Io a casa ho tanti CD e pochi vinili. Per il vinile devi avere l’attrezzatura adatta, mentre per il CD è più semplice. È un supporto che ha funzionato, è pratico, piccolo e si danneggia raramente, infatti io nella mia collezione ne ho ancora molti acquistati nei primi anni ’90 che non “saltano” mai. Dicevano che col tempo si rovinassero e invece io i miei riesco ancora ad ascoltarli senza problemi. Poi se inventeranno un nuovo supporto non lo so. Oggi in musica c’è questa tendenza a superare la fisicità, però ad esempio sono tornate di moda le cassette. Diciamo che finché c’è la possibilità di vendere qualcosa, fosse anche per una nicchia di appassionati, il capitalismo trova sempre la strada.

Voi della romanità avete fatto una bandiera in tempi in cui lo stereotipo romanesco veicolato soprattutto da cinema e TV viene un po’ svilito da tante produzioni mediocri, in special modo commediole scritte male e recitate peggio. Anche la Roma di oggi non è più verace come quella di un tempo. Come fate a essere credibili in un contesto del genere?

Il fatto che dici che siamo credibili mi fa piacere ma a dire il vero non siamo troppo affezionati alla romanità, nel senso che non siamo orgogliosi o coatti e il fatto di cantare in romanesco ci è venuto naturale perché ci sembrava la cosa più semplice. Ragioniamo e pensiamo in romanesco, quindi cantiamo così, ma siamo allergici a certi cliché, ci basiamo più sul passato.

Non siamo molto moderni nella nostra romanità, ne abbiamo una risalente a cento o settanta anni fa, quella che abbiamo imparato dai nostri nonni e che cerchiamo di esportare perché non l’abbiamo vissuta, avremmo tanto voluto vivere e non vorremmo si perdesse. Chiamiamola operazione di recupero per non finire anche noi nel calderone delle puttanate.

Muro del Canto, foto per la stampa (2022)

Sul piano nazionale invece una riflessione me la suggerisce Controvento, il primo estratto dall’album che avete presentato addirittura ad agosto 2021 e in cui parlate del “sistema” e della cecità da parte di molti nel non cogliere certe dinamiche. Da un anno a questa parte però il sistema è peggiorato e le “catene” sono diventate più strette e corte. Pensi che in questi mesi il significato della canzone si sia rafforzato?

Controvento l’abbiamo scritta molto prima della pandemia, perlomeno nelle parti salienti. La scelta di farla uscire in quel periodo era dovuta al fatto che il momento ci sembrava ideale per parlare di libertà. A marzo 2020 hanno detto a tutti noi che non potevamo uscire di casa se non per portare a spasso il cane e, devo dirti la verità, io come molti altri non la presi affatto bene, sapevo che c’erano emergenze forse più grandi, e questo senza negare l’esistenza della malattia che specie all’inizio è stata molto letale. Quelle limitazioni però mi hanno gettato nel panico, per la prima volta ho avuto paura e ho pensato che se si trattava di una prova generale per vedere come reagivamo, il futuro a breve avrebbe potuto riservarci qualcosa di ancora peggiore.

Controvento aderisce perfettamente a questo discorso ma è stata equivocata, qualcuno ci ha detto che eravamo negazionisti, no-vax, ecc., però la verità è che anche dieci anni fa sarebbe stata attuale. Certo in quest’ultimo anno le cose non sono migliorate, anzi è vero il contrario, basta vedere come oggi i giornali e le TV si occupano della guerra in Ucraina, e tutto è partito appunto dalla pandemia. Di fronte a ciò noi purtroppo siamo tutti impotenti, è difficile cambiare arrivati a questo punto. Non so, forse bisognerà ripartire dalle basi, dalla cultura, ma al momento io il futuro lo vedo molto nero.

Uno tra i primi a parlare di “sistema” fu Pasolini, del quale quest’anno ricorre il centenario della nascita. Lui le borgate romane le ha raccontate perché le amava di quello stesso amore che voi nutrite per la Roma di cento anni fa che dicevi prima. Vi siete mai ispirati a lui?

Pasolini – e qui penso di poter parlare a nome di tutta la band – è stato molto molto importante per noi. Non so quanto possa essere entrato nel Muro ma sicuramente è entrato molto in ognuno di noi con il cinema, la letteratura, ma anche con la sua vita, le sue contraddizioni, la sua persecuzione e la sua morte misteriosa. Ultimamente sto incontrando molto spesso la sua figura nelle mie letture, è uno dei fari della nostra cultura e penso che lo rimarrà a lungo, anche perché non vedo all’orizzonte nuovi Pasolini.

Per farti un nome, Zerocalcare è stato spesso osannato, a ragione direi, e in questo momento è una figura di spicco dal punto di vista intellettuale nel nostro paese… però è un fumettista, quindi non si può caricarlo di troppe aspettative. Pensare che lui – a ragione, ripeto – si è conquistato questo status fa un po’ male perché a me fa ridere, certo, è molto comico, poi ogni tanto fa qualche riflessione, però insomma… Per fortuna il fumetto è diventato una forma espressiva importante, prima era più di nicchia, ma la cosa può anche spiegarsi col fatto che oggi si guardino più che altro le figure. Diciamo allora che, per tornare al discorso di ricostruire la società dalle basi, forse bisognerà rimettersi a fare i disegnini.

Nuovi Pasolini no, ma vedi all’orizzonte nuovi Muro del Canto per caso?

Non abbiamo molti compagni di strada perché siamo molto isolati e concentrati sulle nostre vite, andiamo tutti a lavorare e siamo totalmente assorbiti dalla nostra musica, quindi non saprei dirti nuove band o artisti che troviamo ci somiglino. Piuttosto direi qualcuno a cui noi ci siamo ispirati, gli Ardecore, che proprio in questi giorni hanno fatto uscire un nuovo disco. Loro hanno anticipato di parecchi anni quello che facciamo noi, sono stati i capiscuola della nuova musica romana e l’hanno sempre fatto in modo molto serio.

Per il resto, tra i giovani mi viene in mente Emilio Stella, un giovane cantautore indipendente romano, oppure un altro di Tivoli (Roma) che si chiama VonDatty, che secondo me è molto promettente. Poi ci sono anche un sacco di nostri amici, nel punk come nel rap, dagli Ultimi agli Assalti Frontali, i Colle Der Fomento e Piotta, e altri non romani come i Dalton e i Plakkaggio HC.

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