Il viaggio spirituale di Franco Battiato

Franco Battiato, sia nei testi delle sue canzoni che nei suoi film, ha dimostrato di essere un autentico indagatore delle spiritualità. Tuttavia le sue canzoni e sceneggiature richiedono un approfondimento teologico, proprio perché egli nella sua lunga carriera ha attraversato tradizioni esoteriche e religiose molto diverse tra loro. Lo ha fatto un Forum del Centro Studi Interreligiosi della Gregoriana, lo scorso 17 gennaio 2022, attraverso una conferenza dal titolo «E ti vengo a cercare… L’invito al viaggio spirituale di Franco Battiato. Una lettura teologica» del prof. Paolo Trianni, che per i lettori di Settimana News ha qui sintetizzato la sua ricerca.

Un cantautore come Franco Battiato, che molti considerano un maestro spirituale, merita un approfondimento teologico. Battiato ha infarcito le sue canzoni di contenuti religiosi e molti rimandi alla spiritualità, è quindi opportuno valutare teologicamente il suo pensiero religioso, sebbene non da un punto di vista confessionale, perché non sarebbe corretto, bensì teologico in senso lato, come farebbe un filosofo della religione.

Dal momento che non si possono analizzare tutti i suoi testi, un obiettivo minimo è quello di proporre delle chiavi di lettura che consentano di interpretare le sue canzoni a tema religioso o anche soltanto di comprenderle un po’ meglio. Nemmeno i suoi biografi sanno spiegare qual è il Dio Battiato. In una delle sue ultime canzoni – Lo spirito degli abissi – cantava: «Mi è ritornata voglia di pregare…» (ascoltala qui), e la domanda non può che essere: «chi»?

Un viaggio nello spirituale

La fede del cantautore siciliano rimane un mistero, perché egli ha fatto riferimento a religioni diverse senza mai argomentare in modo esaustivo e sistematico il suo credo. In particolare non ha spiegato le ragioni che possano rendere possibile la convivenza e la mescolanza di verità religiose tanto diverse da essere contraddittorie.

La sua ricerca è passata attraverso l’induismo, Gurdjieff, il sufismo, il cristianesimo, lo shivaismo del Kashmir, il buddhismo tibetano, religioni tra cui è oggettivamente impossibile una sintesi armonica. Nessun teologo potrebbe farlo; tantomeno Battiato, che non era né un teologo né uno storico delle religioni.

La vita spirituale di Battiato non si discute. Ma la razionalizzazione che ne ha fatta, tra testi e interviste, evidenzia limiti e nodi problematici che non è bene passare sotto silenzio. Aveva sicuramente una sensibilità spirituale e un vero istinto religioso, ma non ha mai studiato le tradizioni religiose se non da autodidatta, spiluccando qua e là, spesso leggendo autori discutibili le cui tesi non sono giustificabili dal punto di vista storico-esegetico, come testimonia l’affermazione, nel suo ultimo disco, che «Cristo nei vangeli parla di reincarnazione».

Non è un dettaglio da poco: approcciare le religioni e le dottrine su testi divulgativi o seguendo autori che non hanno verificato le proprie fonti è fuorviante, quando non pericoloso. A livello metodologico, la ricerca del cantautore siciliano ha sicuramente difettato, attraversando con eccessiva leggerezza religioni e dottrine diverse.

Sincretismo

Nell’apprezzare maggiormente le tradizioni religiose contemporaneamente, naturalmente, non c’è nulla di male. Non è necessario per una persona scegliere una religione e disprezzare le altre. Occorre però essere consapevoli che è complicato mettere insieme fedi e dottrine oggettivamente non armonizzabili.

Da questo punto di vista, Battiato si può definire un sincretista, sebbene per lui il termine non avesse nessuna sfumatura negativa. Il suo atteggiamento, infatti, rifletteva quello del suo maestro fondamentale, il filosofo e musicista armeno Georges Gurdjieff, che mescolava sufismo, cristianesimo, religioni orientali ed esoterismo.

Dal momento che ha conservato fino alla fine questa sensibilità, potremmo anche dire che Battiato non si è mai allontanato troppo dal suo maestro. Anzi, si può dire che il pensiero di Gurdjieff rappresenta un po’ il filo rosso che dà continuità e coerenza a tutta la sua ricerca religiosa. Sotto questo aspetto, prima di valutare il pensiero religioso di Battiato occorre conoscere quello di Gurdjieff.

Il vero nodo teologico, però, non è capire quanto ci sia di Gurdjieff in Battiato, e nemmeno se Gurdjieff si possa definire sincretista, bensì analizzare il sincretismo in sé e capire se esso sia filosoficamente legittimo o non invece contraddittorio e superficiale.

«Gli urlettini dei cantanti»

Gurdjieff non mai ha voluto fare una sintesi tra dogmi religiosi diversi, ed aveva un approccio relativista e strumentale alle religioni. Per lui le religioni erano semplicemente dei mezzi che dovevano servire allo scopo ultimo di risvegliare la coscienza. Naturalmente questo è un problema, perché nessuna religione si accontenta di essere un mezzo, e tutte rivendicano di essere un fine.

In una canzone dal titolo Di passaggio (ascoltala qui), Battiato fa un’associazione emblematica tra «le religioni e gli urlettini dei cantanti», a testimonianza di quale fosse la sua idea delle religioni istituzionali. Anche il sufismo, che lui conosceva bene anche grazie all’amicizia con Gabriele Mandel, veniva da lui dissociato dall’islam e dal Corano.

A questo riguardo è possibile evocare una questione discussa che aiuta a comprendere il pensiero religioso di Battiato, ovvero se il sufismo nasca o meno dal Corano. Reynold Nicholson, ad esempio, lo negava. Egli sosteneva che la mistica sufi dipendesse dal suo incontro con i monaci cristiani, con il pensiero di Plotino, con il buddhismo, con l’induismo, con il tantrismo, con lo gnosticismo.

Questo sincretismo implicito e strutturale al sufismo spiegherebbe il sincretismo di Battiato. Il sincretismo, però, anche se è considerevole nel suo riconoscere la trasversalità del sacro, non risolve il problema delle contraddizioni tra le religioni, o, se si preferisce, la questione della verità. Inoltre, a quale religione conduce? A tutte e nessuna!

Orizzonte vedantico

Solo una visione religiosa può accostarsi alla sensibilità finora tracciata: il Vedanta. E non è un caso che Battiato, in una canzone dal titolo I’m that, vi abbia fatto riferimento. In questo testo scrive: «Non sono mussulmano né induista. Nor Christian nor Buddhist» (ascoltala qui). L’orizzonte vedantico della canzone – al di là del fatto che è in palese contraddizione con il buddhismo degli ultimi tempi della sua vita – è significativo, perché il vedanta non è una religione, bensì una tendenza mistica che tende a utilizzare e oltrepassare le religioni.

Rimane comunque il problema che non si può invitare, come fa Battiato in un suo testo, a «rivolgersi al Signore» ed essere dei vedantici assolutisti. E comunque rimarrebbe la domanda: a quale Signore? Battiato avrebbe in realtà dovuto chiarire questioni più rilevanti di quella del nome. Avrebbe dovuto spiegare se per lui Dio è una Persona, come credono i cristiani, oppure una legge impersonale, come per i buddhisti. Avrebbe poi dovuto chiare se il Dio personale è altro rispetto all’uomo, o se nella sua visione l’intero reale culmina in un panteistico Uno.

Battiato non ha mai dato risposte chiare a tali domande. Pur avendo una grande intelligenza spirituale, non ha mai esercitato l’intelligenza teologica di analizzare le differenze dottrinarie tra le religioni. Non aveva la forma mentis del teologo, neppure il lessico concettuale e le domande indagatrici del teologo. Si è accontentato di seguire le religioni su un piano spirituale e mistico, non senza ambiguità e persino qualche rischio.

Mistica o mitizzazione?

In un’intervista, Battiato si è autodefinito un mistico. Ed è certamente mistici il testo della canzone Stati di gioia: «Mi trovavo a lottare contro i miei fantasmi. Spostandomi in avanti per quanto lo permette la catena (cioè il karma). Scopersi per caso lo stato che ascende alla gioia» (ascoltala qui).

Ancora più mistica, anche se alla stesura del testo ha contribuito Fleur Jaeggy, è la canzone in cui egli afferma: «Bisognerà per forza. Attraversare alla fine. La porta dello spavento supremo» (ascoltala qui). Henri Le Saux, monaco benedettino che ha vissuto in India, ha parlato di questa esperienza, che accade quando l’anima cade in uno sprofondo in cui non c’è più l’io e non c’è ancora Dio. Non è dato sapere dove Battiato sia veramente arrivato. Ma si ha a volte l’impressione di una mitizzazione della mistica, prima ancora che di reali esperienze mistiche.

In ogni caso, il rapporto tra mistica e teologia è assai complesso, e non sembra possibile separarle. In un suo film, Battiato ha inserito la figura della benedettina Ildegarda di Bingen, ma ci si deve chiedere se sia possibile separare l’esperienza mistica di questa monaca dalla sua fede cristiana. Si rischia infatti di non comprendere o rendere non intellegibile la natura stessa dell’esperienza mistica, la sua natura, il suo fondamento e la sua causa ultima.

L’impressione è che Battiato separasse la mistica dalle religioni, e fosse tra coloro che ritengono le religioni diverse, ma la mistica uguale. Su queste premesse, nei testi delle sue canzoni troviamo sia la vacuità buddhista sia l’invocazione di un non meglio definito Signore, ed è chiaro che questi accostamenti sono inaccettabili sia per uno studioso del personalismo sia per uno studioso della vacuità.

Non è un caso, però, che nel docufilm Attraversando il bardo (disponibile qui) egli abbia dedicato uno spazio importante al monaco missionario e maestro zen Willigis Jager, il quale ha cercato di creare un ponte tra buddhismo e cristianesimo. Che Battiato abbia letto e apprezzato autori come Jager va segnalato. Non è chiaro se ci sia stata in lui una oggettiva consapevolezza filosofico-teologica delle questioni in campo.

Il «Battiato cristiano»

Merita comunque attenzione quello che potremmo definire, tra virgolette, il Battiato cristiano, ovverosia il Battiato che cita Isacco di Ninive, che ha musicato una messa, che ha fatto la cresima da adulto, che ha visitato il monte Athos ed altri luoghi cristiani.

Va anche ricordata inoltre che il suo migliore amico e collega, Juri Camisasca, è stato monaco benedettino. Non è un caso, quindi, che negli ultimi anni, anche attraverso l’amicizia con Padre Guidalberto Bormolini, Battiato sia tornato a cantare i padri del deserto.

Si deve dunque pensare a una conversione al cristianesimo nella vecchiaia? Non è chiara in realtà la sua consapevolezza dei dogmi cristiani. Invitato a suonare in Sala nervi davanti a Giovanni Paolo II, si affrettò a dire che non era cattolico. In una recente intervista, è arrivato persino a dire che papa Bergoglio «non parla di teologia, non affronta i massimi sistemi della fede». Affermazione che appare assai superficiale.

Battiato dissociava il cattolicesimo come religione istituzionale dalla spiritualità cristiana, apparentemente senza rendersi conto che senza la prima non avremmo nemmeno la seconda, e che Cristo ha comunque istituito e lasciato un rito. L’eventuale cristianesimo di Battiato, quindi, ha un carattere anticlericale, individualista, poco dogmatico. Senza riferimenti alle dottrine e all’eucarestia, però, il cristianesimo si avvicina al quietismo, allo gnosticismo, all’essere una mera esperienza culturale.

Senza dubbio Battiato ha apprezzato il cristianesimo dialogico, vegetariano, mistico, semplice, meditativo e sensibile dell’India, che ha incontrato negli ultimi anni, quando si è avvicinato alla comunità dei Ricostruttori nella preghiera. La scoperta di un tale cristianesimo è stata per lui una vera sorpresa. Quale sia il Cristo di Battiato, però, non è dato saperlo, e comunque sappiamo che insieme al cristianesimo egli credeva tante altre cose difficilmente conciliabili con esso.

Icona del nostro tempo

Alla luce di quanto detto, Battiato appare in tutto un uomo del nostro tempo, appartenente a una post modernità relativista che appiattisce le religioni, che le distingue dalla spiritualità e che le abbraccia tutte e nessuna.

Per valutare il pensiero religioso di Battiato si deve analizzare il panorama spirituale contemporaneo. Dal punto di vista teologico, lo si può definire un «pluralista teocentrico». Egli non pone l’accento sulla chiesa o su Cristo, ma su Dio. Non essendo teologo, Battiato non disponeva di queste chiavi di lettura, e avrebbe senza dubbio considerato certi discorsi teologici dei bizantinismi noiosi e cerebrali. Non c’è dubbio, però, che la sua riflessione su Dio avrebbe tratto giovamento da un discernimento esegetico e teologico. Alla sua riflessione è senza dubbio mancato l’approccio scientifico e sistematico che lo avrebbe aiutato a comprendere e valutare le differenze tra le religioni.

È significativo che egli sia andato in Catalogna per intervistare un pluralista come Raimon Panikkar. Ma nemmeno Panikkar ha risolto il problema della diversità religiosa e della verità. Il suo pensiero teologico, infatti, finisce per sfociare in un apofatismo. E lo stesso Battiato è stato un apofatico. In Polvere del branco, parlando di Dio, afferma appunto che «nessun uomo ha mai sollevato il suo velo» (ascoltala qui).

La ricerca del religioso in Battiato denuncia limiti metodologici. E tuttavia merita rispetto. La forma migliore per rispettarla a noi sembra quella di criticarla, di prenderla sul serio e pensarla. Sarebbe un errore passare troppo in fretta dalla sua musica alla sua teologia, perché Battiato è e rimane un artista. La teologia che nasce dall’arte è spesso profetica, ma richiede di essere vagliata e integrata.

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