Halík: attenti all’egoismo nazionale e religioso

28 Dicembre 2022

Angelo Bonaguro

Dissidente, filosofo e infine teologo, Tomáš Halík rappresenta ancor oggi la vivacità del pensiero ceco, sempre pronto a interfacciarsi col mondo. Nell’intervista parla di Ucraina, globalizzazione e «terzo ecumenismo».

Nato a Praga nel 1948, Tomáš Halík dopo la maturità (1966) studia sociologia e filosofia (è compagno di studi di Jan Palach). Durante l’estate del ’68 si trova in Inghilterra, ma decide di rientrare nella patria occupata: sarà lui a collocare la maschera mortuaria di Palach alla Facoltà di Lettere e Filosofia al posto del busto di Lenin. Durante il periodo comunista non può insegnare e finisce sulla lista nera della polizia politica. Spinto dalla personalità carismatica di padre Jiří Reinsberg (parroco di S. Maria del Týn, frequentata dall’intelligencija cattolica della capitale), decide di studiare clandestinamente teologia sotto la guida di p. Josef Zvěřina e viene ordinato sacerdote a Erfurt, in Germania Est, nel 1978. Opera nella cosiddetta «Chiesa clandestina», pubblica nel samizdat, è stretto collaboratore del cardinal Tomášek e, dopo la rivoluzione dell’89, consigliere del presidente Havel.

Nei primi anni ‘90 ottiene il dottorato in teologia presso l’Università Lateranense, e nel periodo 1990-93 è segretario della Conferenza episcopale ceca. Membro del Pontificio Consiglio per il Dialogo con i Non Credenti, ha tenuto conferenze in numerose università e ha partecipato a convegni internazionali, è stato visiting professor presso le università di Oxford, Cambridge e Harvard. I suoi libri sono stati tradotti in molte lingue. Ha ricevuto numerosi premi in patria e all’estero tra i quali il prestigioso Templeton Prize (2014). Attualmente è professore di sociologia presso l’Università Carolina, presidente dell’Accademia cristiana ceca e parroco della Chiesa universitaria del SS. Salvatore.

Recentemente è stato in Italia per un tour di presentazione del suo ultimo libro Pomeriggio del cristianesimo, il coraggio di cambiare (Vita e Pensiero, 2022). L’abbiamo intervistato presso il Centro culturale di Milano.

La terza guerra mondiale «a pezzi», la pandemia, la crisi energetica, l’incapacità europea di gestire il problema dei migranti… Sembra un nuovo «Temno», l’«epoca oscura» del ‘600 boemo, stavolta su scala mondiale. Professor Halík, dove guardare per non essere sopraffatti dalla paura?
Innanzitutto occorre avere fede, Gesù chiese: perché temete, non avete ancora fede? Fede non solo nel senso di «convinzione religiosa» ma nel senso della fiducia che in ogni situazione complicata c’è una chiamata da parte di Dio, un invito a cui dovremmo rispondere. Sì, oggi la situazione è particolarmente complessa, mi riferisco specialmente alla guerra in Ucraina che non è un conflitto locale e lontano, ma è veramente una delle battaglie decisive della terza guerra mondiale.

Ritengo che se l’Occidente non sarà in grado di sostenere l’Ucraina e se la Russia veramente vincesse, sarebbe un incoraggiamento per tutti i dittatori del pianeta, per questo ciò che sta avvenendo in Ucraina ha un’importanza globale.

Putin è l’Hitler del nostro tempo, non è purtroppo possibile comunicare con lui usando la diplomazia così come non lo fu con Hitler. Purtroppo la Russia di Putin è uno Stato criminale che concepisce solo la forza.

Vi sono vari livelli in questa battaglia, uno è certamente il fronte vero e proprio, ma un livello forse ancor più importante è l’opinione pubblica russa, che è molto manipolata, perciò temo che lì non vi siano molte opportunità. Nel momento in cui la Russia stava affrontando una crisi demografica, economica e morale, Putin aveva come unica possibilità quella di ridestare i sogni imperiali, di offrire il ritorno alla Grande Russia, di costituire un impero immenso e riconquistare i Balcani, come si sente dire dai loro propagandisti televisivi. Tutto ciò è una pazzia, ma una pazzia molto pericolosa. L’Occidente non dovrebbe sottovalutare quanto sta accadendo in Ucraina.

Halík: attenti all’egoismo nazionale e religioso

A Mosca, nel 2000. (halik.cz)

I sovranismi sono esplosi anche in paesi come gli Stati baltici e la Polonia, dove è più evidente la paura del vicino russo. Se la loro reazione è comprensibile, rischia tuttavia di creare chiusure, debolezze e paradossalmente violenza e ingiustizia, pensiamo alle vicende dei gruppetti di profughi afghani respinti, e agli 8 milioni di ucraini accolti in Polonia. Come se ne esce?
La democrazia non è solo un sistema politico, la democrazia è anche cultura dei rapporti fra le persone, è qualcosa che è necessario costruire, ed occorre preparare un clima morale che la favorisca. Temo invece che in questi paesi post-comunisti vi siano forti influssi che intendono distruggere quel clima. Probabilmente, dopo la caduta del comunismo, la gente attendeva qualcosa di diverso, e improvvisamente è arrivato il mondo post-moderno, così complesso, pluralista che ha disorientato molti, i quali si sono gettati alla ricerca di risposte semplici alle problematiche complesse. Purtroppo a volte anche la retorica religiosa viene usata a sproposito.

Naturalmente ciò vale non solo per i paesi post-comunisti – penso alla figura di Trump in America, ecc. Vi sono persone che utilizzano i valori cristiani, sbandierano il rosario ma poi la loro vita non corrisponde al Vangelo.

È emersa così la seconda faccia della globalizzazione: da un lato ha portato cose positive – ritengo che la caduta del comunismo sia una delle conseguenze della globalizzazione, quando i regimi chiusi si sono trovati nel mercato libero di merci e idee e non hanno più saputo reggere, quindi è un bene che abbia aiutato a smantellare gli Stati totalitari. Tuttavia oggi si mostra più che altro il suo lato oscuro:

siamo strettamente collegati, si approfondisce la globalizzazione economica, ma allo stesso tempo siamo internamente divisi, fra popoli, Chiese… Perciò il nazionalismo, l’egoismo nazionale è molto pericoloso, tanto più quando è ammantato di religiosità, quando la dialettica politica viene intesa come la battaglia finale tra il Bene e il Male, dove l’avversario diventa il Grande Satana, ecc.

Di contro notiamo – penso al mio paese e alla Polonia – che molti cittadini che non erano molto favorevoli ad accogliere i profughi per paura del diverso, ora hanno superato questa difficoltà – naturalmente occorre valutare se l’accoglienza si intende per due mesi o per anni.

Sono paesi che avendo avuto qualche esperienza diretta con la Russia, si sono dimostrati aperti ad accogliere profughi ucraini, pur non essendo purtroppo una tendenza generale: anche da noi esistono nazionalismo e chiusure, sostenuti ugualmente da alcuni circoli cattolici e da una certa retorica religiosa.

Come spiega la simpatia per Putin di diversi cristiani che, pur condannando il totalitarismo e la violenza, inneggiano all’uomo forte che difenderebbe i valori cristiani? Sono solo vittime della propaganda o c’è qualcosa di più profondo?
Da un lato ci sono le vittime della propaganda: la Russia, nonostante le difficoltà economiche, investe enormi somme per la propaganda, spesso mirata proprio ai conservatori cristiani che vivono nella convinzione che l’Occidente sia moralmente corrotto, mentre in realtà la Russia moralmente è messa peggio dell’Occidente per divorzi, aborti e alcolismo. È una propaganda che descrive Putin come il nuovo Costantino che guida la battaglia contro l’Occidente ateo, ed è naturalmente pericolosa. Ma la causa profonda sta anche nel fatto che un certo cattolicesimo ha strizzato spesso l’occhiolino ai regimi autoritari.

Io preferisco distinguere tra cattolicità e cattolicesimo, identificando la prima con l’apertura e il cristianesimo universale, mentre il cattolicesimo è un fenomeno sorto come controcultura in reazione al protestantesimo, al modernismo, al liberalismo, ecc. Questo cattolicesimo chiuso ha simpatie verso i regimi autoritari, come accaduto negli anni ’30 del ‘900 col fascismo, in Slovacchia, Croazia, nella stessa Italia prima che capissero chi era veramente Mussolini alcuni ambienti cattolici appoggiavano il fascismo.

Sull’attuale scena socio-politica europea, rintraccia dei riflessi dell’approccio religioso tipico di Havel?
Io penso che Havel non sia stato il classico credente religioso quanto piuttosto una persona spirituale. La sua posizione era un umanesimo secolare con una dimensione spirituale, e in questo senso sull’attuale scena politica un personaggio che gli si avvicina è la presidente slovacca Čaputová, una donna spirituale che ha fondamenti etici, che fa meditazione, si ispira al cristianesimo e al buddismo, e che sulla scena europea è vicina a papa Francesco, si sono ritrovati strada facendo. Quando il papa è stato in visita in Slovacchia, lei aveva appena perso uno dei genitori, e Francesco le si è accostato come un vero padre.

Halík Čaputová

Con la presidente slovacca Zuzana Čaputová, 2019. (halik.cz)

Nel Pomeriggio del cristianesimo Lei scrive che si è avvicinato al cristianesimo grazie alla cultura, e che la cultura è il luogo dove oggi è possibile cercare i segni dei tempi, perciò la possiamo considerare un locus theologicus, un oggetto dell’indagine teologica. Mi ha colpito però quando scrive che ciò vale anche per certe espressioni dell’arte contemporanea ritenute blasfeme, mi riferisco ad esempio a quanto accaduto al teatro di Brno con lo spettacolo La nostra violenza e la vostra violenza del regista croato Oliver Frljić, con evidenti scene blasfeme.
Per quel che riguarda me, come convertito, devo dire che nel muovere i primi passi verso il cristianesimo e la Chiesa cattolica mi hanno aiutato molto la musica, la letteratura, l’arte, l’architettura religiosa a Praga. Ma se negli anni ’60 non avessi conosciuto alcune grandi personalità religiose, sarebbe rimasta solo una simpatia estetico-intellettuale. Però ritengo che anche questa potrebbe far da ponte: infatti in epoca comunista quando non c’era a disposizione letteratura teologica, per chi era interessato al cristianesimo c’erano scrittori quali Bernanos, Mauriac, Greene, ecc., dove leggendo qua e là uno coglie il dramma della fede.

Ben diverso è quando nell’arte i motivi religiosi vengono usati in modo provocatorio, e qui occorre distinguere tra provocazione gratuita e provocazione per riflettere. Un esempio di provocazione gratuita può essere il caso della cantante che si fa chiamare Madonna, oppure quando l’artista punta sul fatto che la Chiesa protesterà e contribuirà così a «sponsorizzare» l’opera. Rispetto allo spettacolo al teatro di Brno, prima di esprimermi l’ho visto due volte: al primo sguardo mi è sembrato proprio una provocazione gratuita, ma la seconda volta ho capito che il messaggio che si voleva trasmettere era sensibilizzare sulla gravità dell’abuso politico dei simboli religiosi.

Molti hanno protestato senza aver visto lo spettacolo e limitandosi alle fotografie dove Gesù violenta una musulmana – non si trattava ovviamente della ricostruzione del Gesù storico ma di sottolineare come in Croazia, nella ex-Jugoslavia, patria dell’autore, i simboli religiosi sono stati spesso usati per la politica. Poi si può certo criticare la qualità in sé delle scene, ma la provocazione era fatta per riflettere.

Così anche in occasione del film L’ultima tentazione di Cristo molti cristiani hanno protestato, ma ricordo che alcuni giovani vennero da me dicendomi che il film li aveva spinti a leggere il Vangelo, ottenendo così un’efficacia paradossale!

Lei scrive che in Cecoslovacchia il dissenso ha prodotto alcune personalità notevoli come Václav Havel, ma che tuttavia non ha portato alcuna visione originale, e nemmeno una filosofia politica realmente nuova. Eppure il dissenso ha sottolineato per decenni il ruolo della persona, si è richiamato alla libertà di coscienza, alla responsabilità verso il tutto, a «non vivere nell’odio» (come ha scritto il suo maestro padre Zvěřina), né si può dimenticare la lezione laica di Patočka sul significato del sacrificio…
Si tratta di dinamiche profondamente etiche, tuttavia non siamo di fronte ad una nuova filosofia politica. Lo stesso Jan Patočka, che è stato l’ispiratore intellettuale e spirituale di Charta 77, in quel che diceva trasmetteva Kant, ripeteva sostanzialmente i princìpi kantiani, e anche se è stato molto importante per fronteggiare il comunismo non ha sviluppato una nuova filosofia politica.

Halík: attenti all’egoismo nazionale e religioso

Con il vescovo Škarvada e il neoeletto presidente Havel, dicembre 1989. Rientrato in Vaticano, Škarvada incaricò Halík di riferire a Havel che il papa avrebbe visitato la Cecoslovacchia di lì a poco. (halik.cz)

Nel suo libro sostiene che dopo l’89 nei paesi centroeuropei è mancata la volontà di affrontare il passato, e che questo «non è stato espressione delle virtù di misericordia e perdono, ma piuttosto un peccato di omissione, un peccato contro la verità e la giustizia», e che questa situazione ha interessato anche la Chiesa.
Sì, anche nella Chiesa non si son fatti i conti con questo problema, è stata la Chiesa non solo dei martiri ma anche dei collaboratori. Un po’ abbiamo taciuto, poi queste cose sono venute a galla – come è successo con gli abusi sessuali (da noi vi sono stati pochi casi più che altro perché i sacerdoti all’epoca non avevano occasioni non essendoci collegi gestiti dalla Chiesa, ecc.). Analogamente è successo con i religiosi collaboratori col regime. Ma oltre all’affronto del problema,

ritengo che la Chiesa dovrebbe dimostrare alla società che si tratta di un processo impegnativo, che non basta cambiarsi d’abito, e dire: io ero un dissidente e tu un confidente, va beh, fa lo stesso…

La riconciliazione presuppone un processo di conversione, un percorso lento, occorre riconoscere la propria colpa, mettersi sulla via della penitenza. Ritengo che la Chiesa debba usare il perdono, ma dimostrare che non significa solo dimenticare.

Presso il dicastero per i vescovi Lei ha indicato come segno dei tempi il «terzo ecumenismo», ossia il cambiamento del rapporto tra «credenti» e «non credenti» o meglio, «persone non religiose ma spirituali», affinché la Chiesa sia sempre più universale, cattolica.
Ho menzionato la differenza tra cattolicesimo e cattolicità, e credo che in questo senso il Concilio Vaticano II abbia già compiuto determinati passi per uscire dal cattolicesimo chiuso verso la cattolicità che significa universalismo e quindi ecumenismo. Se abbiamo una Chiesa veramente cattolica ossia universale, ciò significa che dobbiamo avere qualche apertura, tentare di agire nell’ecumene, anche se l’azione più impegnativa è all’interno stesso della Chiesa cattolica prima ancora che con le altre confessioni! Naturalmente poi l’attenzione va non solo alle altre Chiese cristiane e alle altre religioni, ma anche a quelle persone che pur sostenendo di non essere religiose hanno però una spiritualità. È quello che dice il papa nella Fratelli tutti – che considero un documento molto importante per il XXI secolo, potrebbe avere la stessa valenza che ha avuto la Dichiarazione universale dei diritti umani per il XX: mettersi in moto verso la fratellanza universale.

La Chiesa è santa, segno che tutte le persone sono chiamate all’unità con Cristo. La grande unità nella pienezza sarà una dimensione escatologica, sulle vie della storia facciamo solo dei passi ma dobbiamo pur avviarci lungo questa via, superare ostacoli e rivalità reciproci, ed è tanto più importante ora che l’umanità deve affrontare minacce gravi – ecologica, pandemica, ecc. – perciò abbiamo bisogno di fonti di speranza e solidarietà, e la religione è una di esse. L’ecumenismo, la fratellanza universale sono passi sulla lunga via della sinodalità, come dice il papa, che deve preservare la dimensione ecumenica, percorrere una stessa via – «syn-odos», – andare assieme non solo con gli altri cattolici e cristiani, ma con tutte le persone che sentono la responsabilità per il nostro mondo.

 


Angelo Bonaguro

È ricercatore presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si occupa in modo particolare della storia del dissenso dei paesi centro-europei.


LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI

Halík: attenti all’egoismo nazionale e religioso