Giappone, Samurai nel pallone: la nuova frontiera del calcio alla conquista dell’Europa

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L’associazione viene facile, ma è tutt’altro che vicina alla realtà. No, non sto assolutamente parlando del nuovo film con Oronzo Canà che viene chiamato da una fantomatica squadra giapponese per portare le sue perle di saggezza nel Sol Levante. Anche se devo ammettere che vedere il grande Pasquale Zagaria rivestire i panni dell’allenatore più famoso della storia del cinema, e trasferirsi nel meraviglioso Giappone avrebbe il suo perché.

Akihabara, Tokyo
Akihabara, Tokyo

Già, il Giappone, terra di tradizione e futuro. Terra legata ad una spiritualità ed una placidità quasi impossibile da trovare in qualsiasi altra parte del mondo, e sede di Akihabara il più grande posto al mondo dove trovare qualsiasi cosa legato alla sfera dell’elettronica e alla cultura otaku in generale. Una sorta di luogo pieno di tradizione e ritualità, e allo stesso un non luogo, nell’accezione tanto cara a Marc Augé, trattandosi di una sorta di immenso centro commerciale sotto il cielo, in cui le persone sono vicine, ma non insieme. Il Giappone terra di contraddizioni. Sede di splendidi santuari shintoisti e patria dei pachinko. Il Giappone, luogo di nascita di Yoichi Takahashi, geniale mangaka che ha creato la fortunata serie a fumetti Captain Tsubasa, ma che gli occidentali, amanti degli inglesismi, hanno tradotto con il più noto nome di Holly & Benji.

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Holly & Benji o Captain Tsubasa: come si spiega il calcio ai giapponesi

Captain Tsubasa, manga
Captain Tsubasa, manga

Quando ha iniziato a scrivere e disegnare l’episodio pilota della sua opera più importante, Takahashi aveva poco meno di vent’anni. Era il 1978 e dall’altra parte del mondo, in Argentina, si giocavano i mondiali che di li a poco avrebbero consacrato Diego Armando Maradona nell’Olimpo del calcio. Nel paese del Sol Levante fino a quel momento lo sport con la palla era decisamente poco considerato, le persone non sapevano nemmeno dell’esistenza della coppa del Mondo, ma Yoichi vede l’evento in televisione e resta folgorato da questo sport così diverso e particolare. Eppure il calcio in Giappone ha origini molto più antiche.

L’educazione inglese: come tutto è cominciato

Correva il lontano 1873 quando l’ammiraglio britannico Sir Archibald Lucius Douglas fu scelto dalle alte sfere del governo di sua Maestà per portare la Royal Navy nel paese del Sol Levante su richiesta dell’allora governo Meiji. Chi governava il Giappone era convinto dei metodi della potentissima marina inglese e chiese aiuto per formarne una propria imperiale. Venne scelto Sir Douglas, che però non si limitò all’insegnamento di teorie e tecniche per la costruzione di una flotta navale, ma decise di far provare ai suoi cadetti locali, quel gioco che in patria stava spopolando. Sir Archibald doveva solamente erudire 30 ufficiali giapponesi sulla creazione e gestione di una marina imperiale, eppure fece di più. Fece in modo di portare in un paese estremamente lontano sia geograficamente sia culturalmente dalla sua Inghilterra, un gioco decisamente alieno dagli usi e costumi locali.

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Il calcio in Giappone non ha avuto da subito un grande clamore, anzi. Se è vero che la prima partita ufficiale risale al 1888, è anche vero che soltanto circa un secolo dopo, nel 1993 nascerà finalmente la prima lega professionistica la J-League, che nel tempo crescerà a dismisura e varcherà i confini del territorio nipponico.

Dal manga al calcio europeo: i giapponesi in Serie A

Yoichi Takahashi
Yoichi Takahashi

La clamorosa parabola mediatica dell’opera di Takahashi ha cambiato per sempre il mondo del calcio. Tantissimi tra i calciatori più importanti del panorama mondiale si sono detti ispirati dalle avventure di Oliver Hutton e Benjamin Price. Lionel Messi, Zinedine Zidane, Fernando Torres, ma anche lo storico capitano della Juventus, Alessandro Del Piero dicono di essere grandi fan della serie animata. I giovani giapponesi, poi, si sentono ancora più legati al calcio grazie a Tsubasa Ozora e company. Come il capolavoro di Yoichi Takahashi, anche i calciatori nipponici hanno presto lasciato i confini territoriali per approdare nel mondo occidentale, ma non senza portarsi dietro i pregiudizi tipici del pensiero limitato. Andiamo ora a fare una breve carrellata dei calciatori giapponesi che hanno in qualche modo fatto la storia del calcio del paese dei samurai.

Il Re, King Kazu: signore e signori Kazuyoshi Miura

Kazu Miura
Kazu Miura

La storia di Kazuyoshi Miura è più simile ad uno spoken (quei manga che si occupano del mondo sportivo) di quanto si possa immaginare. Kazu e Yasu (Yasutoshi) i fratelli Miura, figli di un controverso personaggio implicato con la Yakuza, sono da sempre appassionati del gioco con la sfera più famoso al mondo. I Miura nascono a Shizuoka, Yasu il 15 luglio del 1965, mentre Kazu il 26 febbraio di due anni dopo. Purtroppo per loro però il calcio in Asia era davvero poca cosa, e nessuno poteva immaginare il radicale cambiamento che ha vissuto il Giappone del calcio in circa trent’anni. Le partite dei vari rappresentati della grandi aziende erano eventi al limite dell’ignobile, giocati su campi quasi impraticabili da calciatori piuttosto rivedibili. Questo perché lo sport nazionale nipponico era il baseball e la spinta emozionale per il terzo posto raggiunto alle Olimpiadi di Messico 68 dalla nazionale di calcio era presto svanita in tutto il paese. I Miura decidono così di fare un enorme azzardo. Se non possono giocare a calcio nel loro paese, allora andranno li dove il calcio è vita: in Brasile. Proprio come Holly Hutton, o Tsubasa Ozora per i puristi, si trasferisce nello stato di San Paolo per giocare con il Santos e diventare un vero calciatore, anche i Miura, appena un anno dopo l’uscita del fortunato manga, vanno via da casa per entrare nelle giovanili del club bianconero.

Qui la storia differisce con il fumetto di Takahashi però, perché Holly diventa idolo della torcida bianconera mentre Yasu gioca poche partite in due anni di vita carioca prima di tornare in fretta e furia in Giappone. Yasutoshi Miura fu però importantissimo per la nascita del calcio professionistico in Giappone, avvenuta nel 1992.

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Kazu sostituì il fratello al Santos, ma anche per lui la vita fu tutt’altro che semplice. Con il club bianconero giocò pochissimo, prima di essere ceduto al Palmeiras, che però lo tesserò come mera operazione commerciale in vista di un torneo da giocare in Giappone. Ma Kazu Miura è giapponese e come esponente di quella cultura, lavora, lavora e lavora. Lavora duro e impara, con la speranza che la svolta può arrivare da un momento all’altro. E la svolta arriva. Correva l’anno 1988 quando un club semisconosciuto del Brasile punta su di lui, e lui ripaga, eccome se ripaga. Da li è un crescendo di emozioni e belle prestazioni che, come nel più classico dei racconti, lo riportano li dove tutto è iniziato: al Santos. Ma stavolta Kazu è un calciatore, non più il timido giapponese macchietta che si inchina e sorride, stavolta Kazuyoshi ha preso il volo.

Poi però in Brasile, il paese della saudade, Kazu ha la saudade del suo Giappone. Allora medita il ritorno in patria. Una patria che stava iniziando il suo personalissimo sogno calcistico, con l’avvicinamento al professionismo. Kazu dopo dieci anni, viene riportato a casa dallo Yomiuri, ricco club semi professionistico che all’inizio degli anni novanta si può permettere di schierare Kazu e Yasu Miura, i fratelli che hanno giocato in Brasile. Lo Yomiuri vince e convince, e quando nel 1992 si forma la prima lega professionistica, cambia nome e diventa Verdy Kawasaki. Oggi viene chiamato con il nome di Tokyo Verdy e milita in J2, ma resta tra i club più vincenti della storia del calcio giapponese.

Kazuyoshi diventa un idolo, una sorta di rock-star. Viene invitato nelle trasmissioni, diventa il giapponese più conosciuto al mondo, e inizia a sentire stretto il Giappone e la J-League. Il mondo deve conoscere la bravura dell’attaccante di Shizuoka. Ne sono convinti anche i suoi sponsor che si mettono alla ricerca dell’opportunità occidentale. Opportunità che arriva e prende nome e sembianze di Aldo Spinelli. Storico patron del Livorno che all’epoca dell’operazione era il numero uno del Genoa, e fu l’artefice della venuta del primo giapponese nella storia della Serie A. L’operazione Miura nella testa di Spinelli non doveva essere un affare solo dal punto di vista tecnico, ma anche e soprattutto commerciale. Il contratto, una genialata d’altri tempi. Pagato interamente dagli sponsor, che avrebbero versato ulteriori fondi per ogni gara giocata dal talento nipponico, per il Grifone un costo esiguo e la consapevolezza di aver preso un talento in rampa di lancio.

Eppure, come al solito, quando ci si mette il fato di mezzo c’è poco da fare. L’esperienza ligure di Kazu si rivela ben oltre il fallimentare, un gol nel derby, tanti infortuni e troppa voglia di dimostrare hanno reso Kazuyoshi una sorta di personaggio perfetto per le rubriche alla maidiregol. Svarioni tecnici, sfortuna, e una cultura diversa non lo hanno aiutato, eppure quel Genoa li, era tutt’altro che competitivo e la salvezza non era di certo un’obiettivo alla portata. Fatto sta che l’esperienza di quello strano giapponese nel nostro campionato finisce come peggio non potrebbe, tra sberleffi e insulti, e la convinzione – piuttosto razzista – che i giapponesi non siano portati per il gioco del calcio.

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Miura non ha mai smesso di giocare e oggi alla ragguardevole e, senza ombra di dubbio, clamorosa età di 55 anni insegna ancora calcio, è infatti stato vicino al ritorno in Europa con l’interesse del club portoghese dell’Oliveirense, poi non concretizzato per titubanze del calciatore stesso.

Hidetoshi Nakata: lo shogun silenzioso

Nemmeno un lustro dopo Miura, un altro presidente di un club della Serie A riprova la mossa da ippon, e questa volta riesce. Luciano Gaucci storico e vulcanico presidente del Perugia si aggiudica per circa tre miliardi e mezzo di dollari un giovane centrocampista proveniente dal piccolo Bellmare Hiratsuka. Biondo, silenzioso, dà l’impressione di essere timido e schivo e non parla troppo, ma fa parlare il campo e cantare il pallone. Hide arriva come la classica operazione commerciale, ma ben presto si rivela una gioia per gli occhi. Ad ammirarlo non sono solo i tifosi italiani, ma tanti, tantissimi connazionali che riempiono gli stadi di tutta Italia per ammirare il loro beniamino. Ovviamente il Perugia si gode Nakata e il suo sconfinato talento in campo, ma avere un calciatore giapponese di quel livello è un toccasana anche a livello di marketing, e le maglie numero sette del Grifo in Asia vanno letteralmente a ruba. Come detto più volte però Hidetoshi è prima di tutto un grandissimo calciatore che in poco meno di 50 partite in Umbria ha segnato una dozzina di gol ed ha fatto innamorare i tifosi del Bel Paese.

Non furono però solo i tifosi ad essere innamorati di lui, ma anche i dirigenti. Più o meno tutti i grandi club del paese volevano tesserare il nuovo talento del calcio giapponese, e a spuntarla fu la Roma di Franco Sensi e Fabio Capello. Nakata era un trequartista, e la squadra capitolina schierava in quella zona di campo, probabilmente il più forte trequartista italiano degli ultimi 20 anni: Francesco Totti. Il capitano dei giallorossi era un titolare inamovibile e Hide faceva panchina, ma la cosa non sembrava pesargli troppo. Disciplina da samurai e placidità da monaco zen, le sue caratteristiche extra-campo più note, Nakata ha aspettato il suo momento, affilando la sua katana con la massima tranquillità, poi in una notte di maggio, in Piemonte ha deciso di tagliare i fili del destino e prendersi la gloria. Un colpo secco, una bomba di destro dai 25 metri che si infila sotto l’incrocio del “pur vigile” Edwin van der Sar che non può far altro che raccogliere il pallone dal fondo della rete. Poi non pago alla fine dell’agone altra staffilata, altro colpo secco di katana, che questa volta il portiere juventino riesce a deviare, ma addosso a Vincenzo Montella che in estirada al volo, segna il gol del 2-2 mettendo probabilmente il punto sullo scudetto capitolino di quella stagione.

Nakata eroe dei due mondi, a metà tra Giuseppe Garibaldi e il Capitan Futuro creato da Edmond Hamilton negli anni quaranta e poi serializzato sotto forma di anime dalla Toei Animation nel 1978. Una sorta di rivoluzionario, un Che Guevara dai tratti orientali, o un Capitan Harlock senza navicella Arcadia. Hide Nakata è stato sempre un calciatore diverso. Lontano dal clamore mediatico e dai riflettori che i calciatori bramano quasi quanto un ricco contratto. Resta storica la dichiarazione di Totti sui festeggiamenti per lo scudetto della Roma: “Canti e balli mi coinvolgono subito, e brindo con tutti. Resto stupefatto e divertito da Nakata che in tutto quel caos si è seduto in un angolo e legge un libro. Un marziano“. Semplicemente Hide Nakata, lo shogun calmo, che si è ritirato dal calcio a 29 anni per conoscere il mondo, e per far conoscere al mondo il suo Giappone.

Shunsuke Nakamura: l’ultimo fantasista

Shunsuke Nakamura
Shunsuke Nakamura

Ormai abbiamo capito che lo scouting nel paese del Sol Levante è stato prerogativa dei club di seconda fascia. Anche in questa operazione di mercato a spuntarla fu un club non di primaria importanza nei vertici del campionato italiano, ma andiamo con ordine. Shunsuke nasce a Yokohama il 24 giugno del 1978. Fin da piccolissimo sull’onda del successo di Tsubasa e amici, come tanti piccoli giapponesi si appassiona al calcio, ed entra nelle selezioni giovanili del piccolo club locale Misono FC. Poi una volta raggiunto il diploma decide di tentare il grande salto e firma per il ben più importante Yokohama Marinos. Era il 1997 e quel giocatore mingherlino, e non eccessivamente veloce, ma dotato di un piede sinistro magico stava iniziando il suo personale cammino nel calcio che conta. In cinque anni con la maglia dei Gabbiani scende in campo per quasi centocinquanta partite e realizza una trentina di gol che gli valgono le attenzioni dell’Occidente.

Da una città di mare come Yokohama ad un’altra città di mare come Reggio Calabria ci sono di mezzo circa 10.000 km in linea d’aria; ma vuoi per l’aria salmastra, vuoi per il canto dei gabbiani, vuoi per l’acqua cristallina e le splendide spiagge, Shunsuke Nakamura si è sentito subito a casa. Dicevamo del settore scouting delle piccole assai attento al mercato asiatico, infatti anche in questa occasione a portare il talento nipponico in Italia fu una squadra di livello non eccelso, un altro team guidato da un presidente fumantino, un altro club che, come il Perugia di Gaucci investì parecchi soldi per una promessa. E neanche a farlo apposta, anche in questo caso la cifra si aggirava sui tre e mezzo, ma stavolta erano milioni di euro. Fatto sta che Shunsuke Nakamura, da mvp della J-League passa alla Reggina del presidente Lillo Foti. Nell’ambiente amaranto si tramanda un meraviglioso aneddoto sull’incontro tra il presidente calabrese e il calciatore che non si capivano, parlando uno in dialetto calabrese e l’altro solo il giapponese. Ma il presidente era talmente carico e felice che il giovane talento rimase stregato da quell’incontro e decise di firmare senza remore per la Reggina, che lo ripagò con la maglia numero 10.

Già, la numero dieci, che altra maglia si poteva dare ad un talento simile, tra l’altro nato lo stesso giorno dell’ultimo grande numero dieci del calcio d’oltreoceano come Juan Roman Riquelme? Chiamatelo destino, o come volete ma la storia di Shunsu era scritta nelle stelle, un pò come la profezia di Hokuto nella serie di Buronson e Hara che tratta le disavventure di Kenshiro, ma non divaghiamo troppo. Shunsuke arriva alla Reggina e subito mette in mostra quel pennello che il creatore gli ha installato al posto del piede mancino e inizia a dipingere calcio. Letteralmente.

Rigori, punizioni, parabole difficili anche solo da pensare che sfidano le leggi della fisica, Il mancino di Shunsu è capace di magie difficili da riportare su carta rendendogli la giustizia che meritano. Il suo calcio elegante, le movenze quasi da ballerino e l’aspetto da ronin con i capelli lunghi lasciati al vento ne fanno un calciatore iconico. I tifosi della Reggina ovviamente stravedono per lui, ma la mossa di mercato si dimostra vincente anche in ottica marketing. Svariati giapponesi si vedono sugli spalti del Granillo, e la squadra calabrese ha fatto diverse comparsate nel paese del Sol Levante per il precampionato. La stagione però si rivela difficile e nonostante la buonissima stagione del talento nipponico, il club calabrese riesce a salvarsi soltanto nello spareggio playout contro l’Atalanta.

Le due stagioni successive vedono un importante calo nelle prestazioni di Nakamura, principalmente a causa degli infortuni, ma l’anno 2015 si chiude comunque con un trofeo portato a casa dal 10: la Coppa d’Asia con il Giappone, e il titolo di mvp del torneo. Viene notato da alcuni club europei, e decide dopo tre anni di lasciare la Calabria con destinazione Glasgow, sponda Celtic. Con gli scozzesi vince il campionato e la coppa nazionale, poi si leva lo sfizio di segnare a Old Trafford diventando cosi il primo giapponese a bucare la rete di casa del Manchester United. Dopo quattro fantastici anni in biancoverde decide di cambiare aria e si trasferisce nella meno nobile delle squadre di Barcellona: l’Espanyol. Ma la magia si è ormai avviata verso il declino. Infatti dopo sei mesi Shunsuke lascia la Spagna per tornare in Giappone a insegnare calcio. L’ultimo samurai torna a casa dove ancora oggi dipinge come un novello Katsushika Hokusai, che non usa il pennello ma quel sensazionale mancino che il destino gli ha riservato.

Giapponesi in Sicilia: scelte poco felici per il Messina

Yanagisawa

Sono stati diversi i calciatori giapponesi, a dir la verità piuttosto dimenticabili, che non hanno lasciato un grande segno. La cosa abbastanza particolare è che la concentrazione di arrivi dal Sol Levante nella nostra Serie A si è focalizzata principalmente nel sud Italia. Sulla scia del successo dell’operazione Nakamura diversi presidenti e direttori sportivi decidono quindi di puntare sul talento proveniente dal paese nipponico. Ci prova la Sampdoria che porta in Italia Atsushi Yanagisawa. Seconda punta di buon talento ma assolutamente inadatta ai ritmi e alla fisicità italiana, che dopo neppure venti presenze in blucerchiato viene ceduto al Messina, dove mette a segno 33 presenze e un gol in coppa Italia. Poco, decisamente troppo poco. Il Messina, forse, non è proprio fortunatissimo nello scouting dal Sol Levante, visto che anche l’altro arrivo dai Kashima Antlers, Mitsuo Ogasawara si rivela una scelta molto poco felice. Regista offensivo di buona tecnica, termina la sua carriera italiana con appena 8 presenze e un bel gol al volo segnato contro l’Empoli.

Takayuki Morimoto: una stella cadente all’ombra dell’Etna

Morimoto

Di tutt’altro stampo è il reparto scout del Catania che invece in Giappone pesca un’autentica perla. Correva l’anno 2006 quando in quel Feldkirchen in Austria, dove stava lavorando il Catania per il consueto ritiro pre-campionato, si vedono decine di macchine del tutto inaspettate. A prima vista potevano sembrare tifosi in trasferta, ma ad uno sguardo più attento si nota che sono giornalisti dalle chiare fattezze asiatiche, arrivati in Austria per osservare da vicino l’ultimo arrivo in casa rossoazzurra. La carovana di cronisti giapponesi era infatti li per seguire Takayuki Morimoto. Classe 1988, nato il 7 maggio a Kawasaki nella prefettura di Kanagawa, è il più giovane calciatore giapponese ad aver segnato un gol nel massimo campionato nipponico. Arrivato, come molti dei suoi connazionali, tra lo scetticismo generale e l’ironia spinta, ci ha messo solo dieci minuti nella prima amichevole per prendersi l’affetto di una città intera e la stima del tecnico Marino. Il primo anno lo chiude con poche presenze ma segna un gol a Bergamo contro l’Atalanta decisivo per la salvezza degli etnei.

La seconda stagione catanese segue un copione simile a quella del primo anno, ma con più presenze, circa 17 tra campionato e coppa Italia e due gol segnati. Ma Banzai, come lo hanno soprannominato i tifosi siciliani, stava per esplodere. La stagione della consacrazione è quella 2008/2009 dove Takayuki, ribattezzato il Ronaldo del Sol Levante, ma forse più per la capigliatura non memorabile che per le effettive qualità, esplode. Si leva lo sfizio di segnare una doppietta alla Roma, un gol alla Juventus, uno nel derby sentitissimo contro il Palermo, e forse il soprannome che omaggia Il Fenomeno di Rio non sembra più cosi azzardato. Tutti impazziscono per Morimoto, tifosi, compagni di squadra, giornalisti.

Ma come tutte le stelle cadenti, la sua lucentezza è effimera. E l’anno della fine della sua possibile, grande carriera italiana è il 2011. Quando a Catania arrivano gli argentini Maxi Lopez e Papu Gomez lo spazio per Maremoto diventa sempre di meno. Viene quindi ceduto al Novara, ma non riesce a salvare i piemontesi. Poi nel 2012/2013 torna a Catania, ma ormai la fiamma si è spenta. Giocherà negli Emirati Arabi, poi un secondo ritorno in Giappone nelle serie minori, l’ultimo contratto europeo con il club greco del Karagianna ed infine un salto nel continente americano nel campionato del Paraguay con il Luqueno. Oggi dopo l’ennesimo fagotto fatto e l’ennesimo biglietto aereo comprato gioca nel campionato di Taiwan con il Taichung Futuro.

Yuto Nagatomo: il piccolo bonzo che si è preso la Serie A

Giappone-Costa Rica

Più o meno a metà degli anni 80, In Italia andava in onda un cartone animato che aveva come protagonista un piccolo ma simpaticissimo monaco giapponese di nome Ikkyu, che dava il nome anche all’anime stesso: Ikkyusan il piccolo Bonzo. Nell’ormai lontano 2010 un altro piccolo giapponese, ma piccolo solamente di statura, torna protagonista sugli schermi degli italiani. Arriva dal FC Tokyo e sceglie la maglia bianconera del Cesena per conquistare l’Occidente. Yuto Nagatomo, il piccolo samurai nasce a Saijo nella Prefettura di Ehime il 12 settembre del 1986. Calciatore atipico, sia per caratteristiche fisiche, circa 170 cm per circa 67 Kg, sia per attitudini morali e mentali, in questo molto vicino al grandissimo Hide Nakata.

Yuto inizia a calciare la sfera nelle selezioni giovanili dell’Higashi Fukuoka per poi trasferirsi all’Università Meiji dove si laurea in Economia Politica senza abbandonare il sogno sportivo. Passa al Football Club Tokyo nel 2008 e da li in avanti sarà un crescendo di trionfi personali e grandi prestazioni in J1 che gli valgono la chiamata dall’Ovest. Il suo addio al calcio giapponese è un vero e proprio show. Circa 25.000 persone che si sono accalcate sugli spalti dell’Ajinomoto Stadium per salutare il loro beniamino in un caldo giorno di luglio, e per augurare le migliori fortune al piccolo grande Yuto che si imbarca per l’Italia.

La sua esperienza al Cesena, si chiude dopo appena sei mesi, ma stavolta non per problemi di adattamento o valutazioni errate dei dirigenti romagnoli. Yuto Nagatomo non è solo la classica operazione di marketing dal Sol Levante, Nagatomo è innanzitutto una grande intuizione del mister dei cesenati Massimo Ficcadenti, fine conoscitore del calcio nipponico che lo vuole a tutti i costi. Ma a volerlo dopo sei mesi di altissimo livello è anche un top club del nostro campionato: l’Inter, che lo acquista in prestito nella sessione di mercato di gennaio 2011.

La carriera di Yuto prende il volo, viene convocato con costanza nella selezione del suo paese, con cui metterà a referto 137 presenze condite da 4 gol e soprattutto una coppa d’Asia vinta nel 2011. Nell’Inter dopo un necessario, ma breve periodo di adattamento si prende la titolarità delle fasce nerazzurre, già fasce perché Yuto Nagatomo può giocare indifferentemente su entrambi i lati del campo e con gli stessi risultati. Diventa titolarissimo con Stramaccioni e Mazzarri, ma l’annata negativa del tecnico di San Vincenzo lo porta all’esonero nel novembre 2014 e la panchina dell’Inter finisce nelle sapienti mani di Roberto Mancini. L’attuale CT della Nazionale italiana però non vede il terzino nipponico che trova sempre meno spazio. Dello stesso avviso è anche Luciano Spalletti succeduto al Mancio nazionale sulla panchina della Beneamata nel 2017. Yuto allora capisce che la sua esperienza in Lombardia è finita e chiede la cessione. Andrà prima al Galatasaray nel 2018, poi al Marsiglia nel 2020. Il 12 settembre 2021, come fosse un segno del destino, torna al FC Tokyo, dove tutto è iniziato.

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Fuori dallo Stivale, i giapponesi alla conquista dell’Europa

Daichi Kamada, giocatore dell'Eintracht Francoforte
Daichi Kamada, giocatore dell’Eintracht Francoforte

Fino a questo momento ci siamo concentrati sui calciatori giapponesi che hanno militato, principalmente, nella nostra Serie A. Ma lo scouting calcistico occidentale ha smosso parecchi ragazzi dal Sol Levante. Impossibile, a tal proposito, non citare il grande lavoro che fanno in Eredivisie. Il campionato olandese è una fucina di talenti che provengono da tutte o quasi le parti del mondo. Anche il Giappone, tramite la massima divisione dei Paesi Bassi ha portato nel vecchio Continente grandi calciatori. Tra questi vanno ricordati il VVV Venlo che si è assicurato i servigi di un acerbo ma talentuosissimo Keisuke Honda dal Nagoya Grampus, e il Feyenoord che per cinque anni ha beneficiato della regia e del piede educatissimo di Shinji Ono, che ha vinto anche una Coppa Uefa nel 2002.

Poi c’è stato Il Vitesse che ha portato in Europa Mike Havenaar. Molto particolare la sua storia visto che nasce in Giappone a causa del lavoro del padre. Mike è infatti il figlio di Dido Havenaar, ex portiere del Den Hag che sul finire degli anni 70 emigrò in Giappone e si costruì una carriera nel paese asiatico che diede i natali alla punta oggi al Bombonera Gifu nelle serie inferiori della federazione giapponese. Il più fulgido talento che dal Sol Levante si è trasferito in Europa negli ultimi anni è però, senza timor di smentita, Shinji Kagawa. Nato a Tarumi, nella prefettura di Kobe, si trasferisce nel 2010 dal Cerezo al Borussia Dortmund che ne intravede le straordinarie qualità e lo porta al cospetto di Klopp. In Bundesliga uno dei figli prediletti del calcio giapponese si mette in mostra con gol, assist e giocate geniali che ne fanno, con il passare del tempo, pilastro fondamentale dei gialloneri.

Il campionato tedesco è un altro vettore fondamentale per il talento asiatico, e oggi in Germania giocano alcuni tra i migliori calciatori nipponici in attività. Tra questi vanno assolutamente citati Daichi Kamada, trequartista e centrocampista centrale dell’Eintracht Francoforte classe ’96. Bravissimo con entrambi i piedi, non ha un fisico prestantissimo, ma sa reggere più che discretamente i contrasti. Possiede anche importanti doti di inserimento che gli permettono di essere pericoloso in area di rigore. Altro calciatore che merita menzione è il centrale difensivo del Borussia Moenchengladbach Ko Itakura, prototipo del difensore centrale moderno. Bravo con i piedi e feroce in marcatura, non velocissimo ma reattivo, il classe ’97 è stato portato in Europa nientemeno che dal Manchester City, ma poi i citizens non hanno creduto fino in fondo alle sue qualità. Ultimo ma non per importanza è l’ala in forza al Friburgo Ritsu Doan, ma di lui parleremo più approfonditamente.

I futuri Tsubasa: i talenti nipponici del domani

Ci siamo concentrati sul passato e in parte sul presente del calcio giapponese. Ma sempre più club europei stanno puntando sui ragazzi provenienti dalla J-League. Ci soffermeremo su cinque future stelle del calcio asiatico.

Ritsu Doan: dall’Olanda con furore

Ritsu Doan
Ritsu Doan

L’Olanda è stata crocevia di commerci con il mondo orientale. La famosa compagnia delle Indie, in particolar modo quella che si occupava delle zona orientale, aveva trovato nell’isola di Dejima una zona da cui operare per controllare i commerci in quella parte del mondo. Non starò a tediarvi con la storia dell’Isola di Dejima, un territorio artificiale situato nel porto di Nagasaki. Voluta dallo Shogun Iemitsu Tokugawa per far soggiornare, e isolare i mercanti portoghesi che potevano muoversi tranquillamente in città e tentavano di convertire i locali al cristianesimo. Ma della storia del Giappone, per quanto interessante, in questa sede ci interessa relativamente e allora torniamo a Ritsu Doan.

Classe 1998, Ritsu Doan nasce a Hyogo il 16 giugno. La sua carriera calcistica nel paese natio è segnata dai colori blu e nero del Gamba Osaka. Esordisce giovanissimo in prima squadra, ad appena 16 anni nel 2015. Fino al 2016 viene però convocato dalla under 23 della formazione di Osaka che militava nella terza serie. Il 2017 è l’anno della sua maturazione che lo vede in gol nelle partite di coppa AFC. Ma la sua carriera nel calcio giapponese si stava rapidamente avvicinando alla fine. Nel giugno 2017, infatti, viene acquistato dal Groningen in prestito con diritto di riscatto. Il primo anno in Eredivisie segna nove gol eguagliando il record appartenente a Arjen Robben e si guadagna cosi il riscatto da parte dei biancoverdi. La seconda stagione è meno positiva, ma Ritsu si guadagna le attenzioni di uno dei club più importanti d’Olanda: il PSV Eindhoven. Con i biancorossi però la scintilla non scocca e gioca appena 19 partite prima di andare in prestito all’Arminia Bielefeld in Bundesliga. In Germania segna 5 gol in 34 partite e si leva la soddisfazione di battere con gol Stoccarda e Bayer Leverkusen.

Nell’estate del 2021 torna al PSV con cui sembra avere maggior feeling rispetto alla prima volta. Ma nonostante gli otto gol segnati in 24 presenze, i dirigenti del club di proprietà della Philips decidono di non puntare su di lui e lo cedono definitivamente al Friburgo. Il talento di Ritsu Doan non è però passato sottotraccia, tanto che la rivista inglese The Guardian lo ha inserito nella lista dei cinquanta migliori calciatori nati dopo il 1998. Doan sfrutta al massimo il suo baricentro basso, le sue qualità di dribbling e il tiro secco partendo dalla destra e poi accentrandosi per finalizzare con il suo potente sinistro.

Takefusa Kubo: il piccolo Messi dagli occhi a mandorla

Kubo, Real Sociedad

La carriera di Take Kubo va raccontata. Questo ragazzino di poco più di 170 cm è considerato la gemma più splendente del Kawasaki Frontale, fin dal suo arrivo nel club ad appena 8 anni. Del suo talento se ne parla tanto anche al di fuori del Giappone, tanto che gli osservatori del Barcellona fanno di tutto per portarlo alla Masia, riuscendoci. Alla FIFA però il trasferimento di ragazzini troppo giovani al di fuori dei confini nazionali non piace, e blocca il mercato ai catalani per due sessioni. Takefusa Kubo comunque entra nelle giovanili del Barca dove resta per quattro anni prima di far ritorno a casa a causa dell’indagine del massimo organo di controllo del calcio, questa volta però nel settore giovanile del Tokyo FC. Dal 2015 al 2018 veste la casacca rossoblù della squadra della capitale giapponese. L’anno successivo viene ceduto in prestito allo Yokohama Marinos.

Il 14 giugno 2019 viene acquistato dal Real Madrid che però nell’agosto successivo lo cede in prestito secco al Maiorca con cui metterà a segno 4 gol in circa una trentina di partite nel suo primo anno in Spagna. Poi torna al Real, ma solo per ricevere un altro biglietto aereo, questa volta in direzione Villarreal. Con il submarino amarillo però le cose non vanno affatto bene, e la sua esperienza in giallo si interrompe bruscamente a metà stagione, a causa delle continue lamentele sul minutaggio. Torna ancora nella capitale e viene rispedito in prestito al Getafe, con cui scende in campo 18 volte segnando una rete. A fine contratto torna per l’ultima volta nella sua, fin qui, giovanissima carriera al Real Madrid, per poi liberare definitivamente il suo armadietto e trasferirsi a titolo definitivo nella Real Sociedad per circa 7 milioni di euro.

Take nonostante il fisico minuto è un calciatore importante. Nel 4-2-3-1 del tecnico dei donostiani Imanol Alguacil viene schierato sulla fascia destra, dove può mettere in mostra il suo sconfinato repertorio di finte, skills con la palla e cambi di passo. Calciatore di grande estro, dotato di un sinistro educatissimo e preciso anche dalla distanza, può giocare sia ala destra, sia trequartista dietro i terminali offensivi, che può innescare con maestria grazie alla sua fantasia e alla sua visione di gioco.

Hiroki Ito: il baluardo difensivo del domani

Ito

Il nostro viaggio in Giappone prosegue verso Shizuoka dove il primo luglio 1999 è nato Hiroki Ito. Difensore oggi in forza allo Stoccarda, Ito è un centrale di piede mancino molto bravo in marcatura e in impostazione. Può giocare anche terzino sinistro e mediano, dove può sfruttare il suo fisico importante per rompere il gioco degli avversari. Alto circa un metro e ottantasette centimetri Hiroki Ito sta facendo parlare di sé in Bundesliga dove con Die Roten è sceso in campo per 42 volte andando anche a segno nella gara contro il Mainz. Il suo piede sinistro educato, la sua grande forza nei duelli aerei e la velocità nelle chiusure ne fanno uno dei nomi più concreti per il calciomercato.

Nella sua carriera giapponese Ito è passato dalle giovanili del Jubilo Iwata al Nagoya Grampus in prestito, ma senza scendere in campo quasi mai. I Jubilo Iwata lo hanno richiamato alla base per un’altra stagione prima di cederlo per una cifra esigua in prestito allo Stoccarda. I tedeschi convinti delle prestazioni del forte centrale nipponico lo hanno riscattato per circa 600.000 euro. Oggi il calciatore della retroguardia giapponese è attenzionato da diversi club della nostra Serie A, sarebbe infatti lui il prescelto di Tiago Pinto per la difesa della Roma del futuro, ma lo Stoccarda per liberare il suo gioiellino, chiede non meno di 10 milioni di euro.

Riku Handa: lo Shinkansen di Yamagata

Riku Handa
Riku Handa

Questa volta ci spostiamo verso Yamagata nell’omonima prefettura. Nella città famosa per i suoi impianti termali, il primo gennaio 2002 nasce Riku Handa. Nato a Yamagata e cresciuto sportivamente nel Montedio Yamagata, team locale che milita nella serie cadetta della federazione giapponese. Handa, nonostante abbia solo un anno in meno di Take Kubo ha avuto finora, una carriera piuttosto limitata dal punto di vista dei trasferimenti, avendo per l’appunto vestito solo la maglia del Montedio a partire dalle selezioni giovanili. Terzino destro principalmente, ma all’occorrenza anche difensore centrale che può disimpegnarsi su entrambi i lati della retroguardia. Dotato di un piede educato, una buona leadership difensiva e caratteriale, ma le sue qualità principali le dimostra in fase di corsa e di cross. Il ragazzo di Yamagata non ha un fisico troppo sviluppato, ma dimostra un ottimo equilibrio e una buona forza fisica nonostante riesca a stento ad arrivare al metro e ottanta.

Il suo principale punto di forza, come detto, sono la velocità, la facilità di corsa e la grande abilita nel cross, che ne fanno uno dei prospetti più interessanti del ruolo. Nonostante per il momento abbia giocato solo in J-2, Handa ha comunque stuzzicato le attenzioni dei club europei. Su tutti, la Roma sembrerebbe il club più interessato al giapponese, tanto da aver già avviato i primi contatti con i dirigenti del club biancoblù, invitando il direttore sportivo del Montedio Shibusawa e il ragazzo per un primo incontro conoscitivo a Trigoria. Il contratto in scadenza con il club di Yamagata nel gennaio 2023, potrebbe essere un ulteriore incentivo per i club del vecchio continente ad investire su di lui, ma probabilmente a Riku farebbe bene prima un’esperienza nella massima serie giapponese.

Joel Chima Fujita: l’erede di Jay-Jay arriva da Tokyo

Joel Chima Fujita
Joel Chima Fujita

Altra storia che ha del clamoroso, Joel Fujita nasce in Giappone da madre giapponese e padre nigeriano. I massimi dirigente della federazione delle super aquile hanno davvero provato di tutto per convincere questo ragazzo a vestire la maglia verde della nazionale africana, ma invano. Joel ha scelto la nazione che lo ha visto nascere e crescere sia come uomo che come calciatore, e si sa che il rispetto in Giappone è sacro. Ma cosa avranno visto i componenti dello staff della Nigeria in lui? Ne ha dato una risposta Francis Achi, media officer della delegazione nigeriana al mondiale under 17 nel 2019: “Tutta la manovra giapponese è passata da Chima che ha brillato come un milione di stelle. Quando i suoi compagni si trovavano in difficoltà, si rifugiavano tra i suoi piedi, e lui ogni volta trovava il modo giusto per superare la nostra difesa. È così bravo che possiamo considerarlo una copia del mitico Jay-Jay Okocha“.

Joel Chima è un centrocampista con compiti di regia dotato di una tecnica di base molto importante. Molto dinamico, è un giocatore che predilige la fase di costruzione a quella di rottura del gioco avversario, ma non per questo difetta in interdizione. Il suo punto di forza principale è la capacità nel gestire palla, che sfrutta al massimo con finte di corpo e veri e propri trick alla Okocha. Molto bravo anche nel giocare in verticale, è capace di offrire assist davvero molto interessanti creandoli letteralmente dal nulla. Cresciuto calcisticamente nel Tokyo Verdy, ha giocato dal 2019 al 2020 nel club di Tokyo per poi passare al Tokushima Vortis nel 2021 e agli attuali campioni di Giappone dei Yokohama Marinos nel corso dell’ultima sessione di mercato. Con i Marinos nonostante la giovane età, anche lui come Handa è un classe 2002, è sceso in campo per 39 volte, togliendosi anche un paio di sfizi con un paio di gol.

Calciatore dotato di una spiccatissima personalità si vede che è un ragazzo che non ha paura nel giocare la palla anche sotto pressione. Queste caratteristiche ben si allineano ad un allenatore come José Mourinho, che infatti nella tournee giapponese della sua Roma ha postato un video di Chima Fujita che si allena a piedi scalzi sul prato del Japan National Stadium. Sappiamo che il mister portoghese non fa mai le cose a caso, che sia stata una precisa richiesta al gm Pinto?

Giappone, Samurai nel pallone: la nuova frontiera del calcio alla conquista dell’Europa – Footballnews24.it