Avatar – La via dell’acqua | Il ritorno di James Cameron si tinge di magia

ROMA – «I sequel sono sempre complicati: devi saper sorprendere e al contempo anticipare le aspettative del pubblico. Allo stesso modo devi massaggiare i loro piedi con cose familiari, confortevoli, cose che conoscono e amano del primo film. Ho già percorso quella strada in passato». A dirlo? James Cameron che, in quanto a sequel, l’ha sempre saputa molto lunga. Qualche esempio? Ha esordito proprio con un sequel nel 1982 (Piraña paura), ha poi sceneggiato un sequel prezioso (Rambo II – La vendetta), si è consolidato con un sequel (Aliens – Scontro finale) ed è diventato leggenda ancora con un sequel (T2 – Terminator 2: Il giorno del giudizio). Non poteva dunque che ritornare con un sequel, Avatar – La via dell’acqua, e portarlo a incassare 2 miliardi di dollari nel mondo e 40 milioni di euro in Italia in un momento in cui le sale sono in difficoltà e il cinema è in piena crisi.

James Cameron
James Cameron alla prima londinese di Avatar 2.

Una missione impossibile resa possibile, un ritorno su cui Cameron si è espresso negli anni usando parole entusiastiche se non rassicuranti e non solo perché consapevole di non aver praticamente mai sbagliato la prova del sequel ad ogni occasione che gli si è presentata lungo la sua carriera quarantennale, ma perché Avatar – La via dell’acqua (di cui potete leggere qui la nostra recensione) è null’altro che un prolungamento del primo capitolo: «L’estensione naturale di tutti i temi, i personaggi e le correnti spirituali del film precedente. Una continuazione di cosa succede quando dei guerrieri disposti a sacrificare sé stessi in battaglia in groppa a dei grandi Toruk arancioni, crescono e hanno dei figli. Essere genitori cambia il tuo sistema di valori e saranno loro i responsabili del cambiamento…». Detta così sembra semplice, in realtà il viaggio verso Avatar 2 è stato tutt’altro che lineare per il regista.

James Cameron
Cameron sul set con Sam Worthington.

Nel sequel però sono proprio i figli di Jake Sully (Sam Worthington) e Neytiri (Zoe Saldana) il motore del racconto: Neteyam (Jamie Flatters), Lo’ak (Britain Dalton), Tuk (Trinity Jo-Li Bliss) e non ultimo la figlia adottiva Kiri (Sigourney Weaver) nata dall’Avatar della defunta Dott.ssa Grace Augustine (sempre Sigourney Weaver), a cui Cameron – forte dell’esperienza precedente con l’ex Ellen Ripley di Aliens – regala un arco di trasformazione strabiliante che, nel giocare con il tema del doppio tra passato e presente narrativo di Avatar, condensa in sé il senso di ricerca e di conoscenza del proprio cammino di vita che è magia, innocenza, scoperta. Questo va a sommarsi alle esplorazioni dei fratelli che nel prendere possesso della narrazione in un secondo atto di puro world-building – relegando Jake e Neytiri a semplici deuteragonisti se non spettatori – vede Avatar 2 sprigionare finalmente davanti agli occhi dello spettatore ignaro tutto il suo potenziale filmico.

L’esplorazione open world di Pandora è magia e meraviglia del mezzo filmico

Perché il cuore del sequel è proprio nell’esplorazione della barriera corallina Metkayina sulla costa orientale di Pandora in cui Cameron, tra l’Albero delle Anime, l’amicizia tra Lo’ak e il giovane Tulkun – una specie di grandi cetacei intelligenti e pacifisti ritenuti guide spirituali – sembra quasi mettere da parte il pericolo della colonizzazione che era il tema centrale-e-trainante di Avatar, qui riproposto nella vendetta di un redivivo e avatarizzato Colonnello Quaritch (Stephen Lang) nei confronti di Jake e del suo tradimento. Invece Cameron sceglie di far navigare lo spettatore nel blu dei mari di Pandora raccontando di amicizia, legami, prime volte, e – soprattutto – di famiglia e xenofobia. Altro tema caro a Cameron che vede in Avatar – La via dell’acqua, accanto all’insensata violenza degli umani verso i Na’vi, la diffidenza tra gli stessi Na’vi: i Metkayina di Tonowari (Cliff Curtis) e Ronal (Kate Winslet) contro gli Omaticaya e il loro essere terreni e non acquatici.

Zoe Saldana è Neytiri in una scena di Avatar - La via dell'acqua
Zoe Saldana è Neytiri

Tutto bene? No, perché i problemi per Avatar – La via dell’acqua – un organismo vivente kolossal da 192 minuti che viaggia spedito nella sua immersività avvolgente – arrivano quando si tratta di armonizzare tutto l’insieme. Perché se il primo atto del film corre forte catapultandoci al centro del conflitto e riprendendo le fila narrative di Avatar quindici anni e una famiglia dopo, è il terzo atto che – a fronte di una battaglia spettacolare fatta di fucili mitragliatori e Toruk e di un climax in cui Cameron cita sé stesso riportandoci indietro al claustrofobico senso di paura sommersa di Titanic per mostrarcelo sotto una nuova luce – vede lo sviluppo e la gestione delle componenti narrative macchinose, finendo con il dissipare del tutto gli sforzi emotivi opportunamente costruiti, in quel conflitto reiterato, trascinato, fatto esplodere a comando senza permettergli il suo naturale andamento.

Il vero problema di Avatar - La via dell'acqua è la gestione del terzo atto
Il vero problema di Avatar – La via dell’acqua? La gestione del terzo atto

Ed è un mezzo passo falso se riconsideriamo per un attimo la solida narrazione del predecessore. Quell’Avatar che era un western spaziale dall’impianto narrativo classico, semplice e rigoroso, su cui Cameron fece germogliare idee rivoluzionare di cinema in 3D che – al di là degli evidenti risvolti tecnologici – sapeva raccontare di ambientalismo, colonizzazioni e riflessioni allegoriche sul neonato Web 3.0, in un’unica, grande, opera kolossale e magnificente. Da qui l’impossibilità di ricreare, da parte di Avatar 2, il senso di magia e meraviglia della prima volta su Pandora e dello scoprirne tutti i suoi meandri narrativi e semantici. C’è però un altro senso di meraviglia, quello del ritorno a casa, del riscoprirsi nuovamente felici e in un posto speciale come al fianco dei Na’vi e a sostegno della loro causa. E durerà.

Sigourney Weaver è Kiri in una scena di Avatar - La via dell'acqua
Sigourney Weaver è Kiri

Lo dicono i suoi 2 miliardi di dollari in un mese di programmazione nelle sale, rendendolo – a fronte dei suoi 400 milioni di dollari di budget – un investimento artisticamente e finanziariamente sicuro per i 20th Century Studios della Disney. Eppure, che ci crediate o meno, le cose sarebbero potute andare molto diversamente per questo sequel, al punto che Cameron avrebbe anche accarezzato l’idea di terminare il ciclo se gli incassi non fossero stati floridi: «Sono passati tredici anni, la domanda è: quante persone se ne fregheranno adesso di Avatar?». Tanti in effetti, ma facciamo un passo indietro. Precisamente sino al 2006, anno in cui Cameron dichiarò, alla stessa maniera, che se Avatar avesse avuto successo avrebbe preso in considerazione l’idea di due sequel.

Gruppo di famiglia su Pandora

Quasi tre miliardi di dollari dopo furono annunciati dall’allora Fox per il 2014 e il 2015 con Cameron che immaginò di girare Avatar – La via dell’acqua e Avatar 3 – il cui titolo si dice essere Avatar – The Seed Bearer/Il portatore di semi – back-to-back, non prima che lo script fosse: «Un romanzo già definito». Armato di migliaia di pagine che espandono i confini narrativi di Pandora, scelse per l’ambientazione acquatica collaborando assieme a un team di sceneggiatori composto da Rick Jaffa, Amanda Silver, Josh Friedman e Shane Salerno, così da darvi una doppia forma su carta. Poi l’imprevisto, con Jon Landau, executive di fiducia di Cameron da Titanic, che fece presente come una tecnologia in grado di eseguire motion capture subacquea non esistesse ancora: «Abbiamo subito iniziato a fare ricerca e sviluppo perché nessuno aveva mai realizzato performance capture del genere».

Britain Dalton è Lo'ak in una scena di Avatar - La via dell'acqua
Britain Dalton è Lo’ak

Un imprevisto non da poco, che fece slittare la data di distribuzione di Avatar 2 e relativi sequel – che a quel punto divennero quattro – girati in contemporanea per un miliardo di dollari di budget (250 milioni di dollari a testa), a partire dal 2017, ma che ebbe dalla sua anche problemi di natura artistica. Perché il processo di scrittura in cui si era imbarcato Cameron era difficile: «Un lavoro complesso, pazzesco, che sinceramente, se Avatar non avesse fatto così tanti dannati soldi, non avrei pensato mai di fare». Si trattava infatti di scrivere gli script dei sequel come unitari, guidati da un filo conduttore narrativo: «Storie separate che presentano un arco complessivo comprensivo del primo film». Nei suoi piani, nel lontano 2014, credeva che in appena sei settimane avrebbe portato a casa gli script in modo che arrivassero in produzione contemporaneamente.

Kate Winslet e Cliff Curtis sono i Metkayina Ronal e Tonowari in una scena di Avatar - La via dell'acqua
Kate Winslet e Cliff Curtis sono i Metkayina Ronal e Tonowari

Specie perché, dalla sua, avrebbe voluto gestire il processo creativo come fece nella writing room di quella Dark Angel di cui fu ideatore, showrunner e perfino regista di un episodio: «Ho detto loro a quale film avrebbero lavorato solo all’ultimo momento. Se avessi assegnato loro gli script in anticipo si sarebbero disconnessi ogni volta che avremmo parlato degli altri film», non fu così. Ci vollero sette mesi di preparazione e appena un anno per vedere completato lo script di Avatar – La via dell’acqua – al tempo chiamato Avatar – The High Ground – nella forma di un maxi-trattamento di 130 pagine poi cestinato perché: «Non sapeva andare abbastanza sull’imprevisto, la svolta narrativa naturale». L’imprevisto arrivò invece in termini umani, con Cameron che a un certo punto iniziò a minacciare di licenziamento i suoi collaboratori per via di un approccio metodologico poco incline allo spirito del cineasta canadese.

Viaggiare nei mari di Pandora con Lo’ak e il Tulkun è qualcosa che cambia la vita

A suo dire, il team si sarebbe concentrato unicamente sui sequel senza provare minimamente a comprendere le ragioni del successo di Avatar. Nulla che abbia portato a soluzioni drastiche comunque, tanto che Cameron dichiarò mesi dopo come: «Siamo alla fase di perfezionamento degli script, questo è in parallelo con il processo di progettazione. Tutti i personaggi, le ambientazioni e le creature sono praticamente impostate» finendo con l’annunciare nel febbraio 2017 lo script definitivo di Avatar – La via dell’acqua, per cui, in origine, era prevista anche una battaglia nello spazio tra Na’vi e umani. Parallelamente Landau, Cameron e la Wētā FX di David Conley nei successivi due anni sopperirono al problema del motion capture subacqueo pensando al film più come a un’opera d’animazione che non un live action: «Per arrivarci avevamo bisogno di nuove tecniche di animazione, oltre ai flussi di produzione virtuale più avanzati».

Stephen Lang è il redivivo Col. Miles Quaritch in una scena di Avatar - La via dell'acqua
Stephen Lang è il redivivo Col. Miles Quaritch

A detta di Conley: «Sono stati necessari un compositing di profondità in tempo reale nella fotocamera nonché l’acquisizione di prestazioni subacquee e un nuovo sistema di eyeline con videocamera via cavo basato sulle prestazioni sviluppato da Wētā FX e Lightstorm Entertainment» a cui fece prontamente eco in termini meccanici Cameron secondo cui: «Come la maggior parte dei sistemi di motion capture, è ciò che chiamano a base ottica, il che significa che utilizza marcatori che vengono fotografati con centinaia di fotocamere. Il problema con l’acqua non è la parte subacquea, ma l’interfaccia tra l’aria e l’acqua, che forma uno specchio in movimento. Questo specchio riflette tutti i punti e i marcatori, e crea tanti falsi marcatori. Abbiamo dovuto capire come aggirare il problema, cosa che siamo riusciti a fare» e visto il risultato ottenuto da Avatar – La via dell’acqua c’è di che applaudire.

James Cameron
Da Aliens a Avatar: sul set con Sigourney Weaver.

Iniziate le riprese il 15 agosto 2017 per concludersi il 23 novembre 2022, a consegnarsi all’immortalità cinematografica basterebbe il solo record di slittamenti di finestre distributive sommatesi negli anni, passando dal dicembre 2014 previsto nel 2010 come ideale mese di distribuzione in sala, al dicembre 2022 annunciato – quello si in via ufficiale – nell’agosto 2020. Nel mezzo imprevisti artistici, tecnici, l’acquisizione della Fox da parte di Disney nel 2019 – con conseguente slittamento triennale causa concorrenziale Trilogia-sequel di Star Wars – e la pandemia di COVID-19, ma alla fine – lo possiamo ben dire – ce l’abbiamo fatta: siamo tornati su Pandora, per restarci. Appuntamento al 20 dicembre 2024…

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Qui sotto potete vedere una featurette del film: 

Avatar – La via dell’acqua | Il ritorno di James Cameron si tinge di magia