Messaggio del Vescovo alla Diocesi per l’anno pastorale 2022

PUÒ L’OCCHIO DIRE ALLA MANO: “NON HO BISOGNO DI TE”? (1a Cor 12,21)

Messaggio alla Diocesi di Vicenza di mons. Beniamino Pizziol Vescovo di Vicenza

Carissimi fratelli e sorelle,

nella Veglia di Pentecoste abbiamo ringraziato il Signore per il felice esito del primo anno del cammino sinodale che ci ha offerto l’occasione di un reciproco ascolto. Ringraziamo il Signore anche per la gioiosa festa diocesana in occasione del X Incontro mondiale delle Famiglie, celebrato a Roma e in tutte le diocesi del mondo.

Questi e altri segni ci fanno percepire che il “cambiamento d’epoca” (cf. Papa Francesco, Discorso ai rappresentanti del V Convegno Nazionale della Chiesa italiana, 10 novembre 2015) che stiamo vivendo è allo stesso tempo un tempo di grazia (“kairòs”), tempo di fatiche e preoccupazioni che, con l’aiuto dello Spirito, possiamo volgere in opportunità e crescita.

Come molti hanno rilevato nel loro contributo al cammino sinodale, si tratta di una sfida complessa, con l’urgenza di strumenti nuovi, di linguaggi nuovi, di esperienze nuove non facili da individuare. Siamo nel guado e molti non si sentono adeguati a questa situazione di incertezza, per cui sentono la nostalgia di parole, gesti, riferimenti sicuri, come nel passato.

A breve, celebreremo i sessant’anni dell’inizio del Concilio Vaticano II e come, vi scrivevo nel documento “Spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro” (2018), vale la pena spendere tempo ed energie per conoscerlo meglio e per discernere come attuarlo. In quella occasione vi proponevo una felice espressione della EG: desideriamo, per impulso dello Spirito, realizzare “un nuovo stile, un nuovo volto, una nuova presenza della nostra chiesa nel territorio”. In questo compito, il Sinodo Diocesano (1984-1987) rimane un sicuro punto di riferimento. Ora, con le precisazioni di papa Francesco, possiamo completare la frase: lo stile è quello sinodale, il volto è il volto ministeriale, maschile e femminile; la nuova presenza nel territorio è la suddivisione in unità pastorali e la diversa collaborazione con gli enti civili e sociali.

  1. L’IMMAGINE BIBLICA (1Cor 12, 18-21)

Prima di addentrarmi in qualche considerazione e poi in alcune semplici indicazioni per il cammino nel futuro a breve termine, vorrei soffermarmi su una immagine paolina, molto nota ma che non cessa mai di provocarci. È l’immagine del corpo, applicata alla Chiesa: per il Battesimo, afferma l’apostolo, siamo veramente il corpo di Cristo, apparteniamo gli uni gli altri in Cristo, e non ci può essere spazio tra di noi per l’individualismo, l’indifferenza e l’esclusione. Questa mutua appartenenza ci ricorda che fin dal progetto originario di Dio, noi siamo relazione e comunione.

Anche i talenti, i carismi, le competenze sono doni dello Spirito per il bene comune. Nella vita della coppia, della famiglia, della società, della Chiesa, la diversità e la pluralità non dovrebbero costituire una minaccia, bensì una vera ricchezza. Questa è la visione certamente più alta dell’essere umano: l’uomo a immagine della Santissima Trinità.

Conseguentemente, abbiamo bisogno gli uni degli altri: “Non può l’occhio dire alla mano: Non ho bisogno di te; né la testa ai piedi: Non ho bisogno di voi” (v.21). Ognuno avverte il bisogno dell’altro, per molti motivi: per i limiti che tutti abbiamo, per le differenze che arricchiscono, per non cadere nel perfezionismo (basto a me stesso) e nel senso di onnipotenza. Ma soprattutto, abbiamo bisogno dell’altro perché solo nella relazione ci realizziamo come persone: “Mai senza l’altro”. La nostra gioia è avere qualcuno da amare e per cui spendere la vita, mentre la tristezza viene dalla presunzione di bastare a se stessi e di poter vivere isolati. Il bisogno, che è il nostro limite, va vissuto proprio come luogo di comunione, di appartenenza, di solidarietà.

A volte, avverto in noi la tentazione di considerare la Chiesa come qualcosa di esterno a noi, una struttura che con le sue regole e soprattutto con i suoi divieti, ci impedisce di essere liberi. San Paolo, al contrario, ci ricorda che qui è in gioco la salvezza dell’uomo: nella Chiesa, ci è offerta dallo Spirito Santo la possibilità di vivere le relazioni tra di noi “alla maniera di Cristo”, il cui amore è al di sopra di ogni tribù e razza, di ogni ideologia e di ogni settarismo (cfr. Gal 3,28). Il cammino sinodale, con l’invito a uscire, a cercare il contatto delle persone che spesso rimangono ai margini della vita ecclesiale, ci rende ancor più consapevoli che non possiamo restare isolati e che, al contrario, è fonte di gioia camminare insieme, come membra del Corpo di Cristo, immersi per il battesimo nell’amore di Cristo che ama e ha dato la vita per ciascuno/a. L’amore ricevuto ci porta a non escludere nessuno, bensì ad amarci gli uni gli altri in Cristo e come Cristo.

  1. IL PRIMO ANNO DEL CAMMINO SINODALE

Dalle riflessioni e dai contributi offerti in questo primo anno di cammino sinodale, vi presento i tratti che mi sembrano più significativi, sempre ringraziando il Signore per la serietà e la passione con cui il compito è stato accolto e realizzato.

  1. a) Ho colto un sostanziale apprezzamento delle unità pastorali, che appaiono sempre più come il laboratorio più concreto di sinodalità, perché favoriscono il superamento del campanilismo e la chiusura delle comunità, verso una mentalità nuova di condivisione e corresponsabilità.
  2. b) Ne consegue l’importanza di una formazione congiunta e continuativa (“permanente”) che coinvolga tutte le membra del Corpo di Cristo e aiuti così a maturare un sogno condiviso di Chiesa ispirato alla EG: “nuovo stile, nuovo volto, nuova presenza nel territorio”. Quanto sia valida la formazione congiunta lo abbiamo già sperimentato in varie occasioni e soprattutto nella formazione dei laici per i Gruppi Ministeriali.
  3. c) la diminuzione delle vocazioni al Presbiterato ci preoccupa e nello stesso tempo ci chiede di promuovere le vocazioni al diaconato e ai ministeri laicali. Nel periodo pandemico sono stati particolarmente apprezzati il ministero dell’accoglienza e il ministero della comunione agli ammalati e agli anziani, mentre si è resa più pesante la celebrazione delle esequie e l’adempimento delle questioni amministrative. A questo proposito, registriamo anche l’invito di papa Francesco a promuovere nuove iniziative per la valorizzazione di ministeri istituiti e ministeri di fatto che possono essere di grande aiuto per le nostre comunità (vedi allegato 1).
  4. d) Il soffio dello Spirito ci invita a riconoscere l’apporto creativo e sempre più necessario di giovani e donne; solo in questo modo, la nostra Chiesa può sperare di superare la tentazione di tornare al passato e di rimanere nel comodo “si è sempre fatto così”. La loro presenza è fondamentale per un discernimento “nuovo” e per una più completa lettura della Parola di Dio nel nostro oggi.
  5. e) Se da una parte possiamo gioire per il numero crescente di battezzati che vivono con consapevolezza ed entusiasmo la loro scelta battesimale, dall’altra percepiamo la fatica di accogliere forme diverse di sequela di Cristo e di vivere la fede. È uno degli aspetti per cui la Chiesa appare con una “scorza dura e resistente”. È la questione della “ricerca spirituale” contemporanea, a cui dovremmo dare un grande aiuto e che invece ci vede spesso lontani o indifferenti. Non vi è più un unico modello di fede e di impegno ecclesiale (modello della sfera), ma secondo la cultura pluralista in cui viviamo, sono molteplici le forme (modello del poliedro) e ciò rende più difficile l’accompagnamento da parte delle figure spirituali, quali i preti, i diaconi e i religiosi/e dovrebbero essere.
  6. f) Ci addolora sempre più la distanza che molti avvertono nei confronti delle celebrazioni liturgiche, da molti percepite come stanche e ripetitive. Siamo tutti preoccupati per l’abbandono da parte di giovani e adulti, per cui ci interroghiamo su come attivare nuovi linguaggi e nuove modalità per una partecipazione più consapevole e gioiosa, per incontrare i moltissimi credenti non partecipanti. È ancora grande il divario tra celebrazione e vita quotidiana: raramente i problemi del mondo entrano nelle nostre preghiere.
  7. g) Il fatto di essere diventati minoranza, con meno forze impegnate nel sociale, ha favorito la ricerca di collaborazione con le istituzioni civili e sociali. La pandemia e altre sofferenze dovute alle guerre stanno suscitando nuove forme di accoglienza e volontariato, con la presenza dei cristiani anche nelle istituzioni e gruppi non propriamente ecclesiali: anche questa è una forma di “uscita”.
  8. h) Ci consola e ci sprona il desiderio manifestato da molti, di relazioni più fraterne in comunità, con l’apprezzamento di spazi di incontro e di ascolto, per il semplice gusto di condividere e non tanto preoccupati del fare. Più volte è affiorata la domanda: Ma esiste l’ascolto nelle nostre comunità, tra di noi? Sappiamo comprenderci, rispettarci, o vogliamo imporre il nostro punto di vista? Ben venga allora la proposta dei Vescovi Italiani di un secondo anno dedicato all’ascolto delle tante persone ed esperienze rimaste ancora ai margini.

3. PRIORITÀ PER IL NUOVO ANNO PASTORALE

Guardando ora al prossimo periodo, desidero indicare alcune priorità.

1) La meta del cammino sinodale, di cui siamo ancora nella prima fase, la fase narrativa, rimane l’orizzonte del Giubileo 2025, a cui papa Francesco ha dato, pochi giorni orsono, un motto attraente: “Pellegrini di speranza”. Con il motto, ci ha dato anche due indicazioni (cfr. mons. Fisichella, conferenza stampa per la presentazione ufficiale del logo del Giubileo, 28 giugno 2022):

  1. a) dedicare l’anno 2023 “alla rivisitazione dei temi delle quattro Costituzioni Conciliari, perché la Chiesa possa respirare di nuovo del profondo e attuale insegnamento prodotto dal Concilio Vaticano II di cui il prossimo 11 ottobre si celebrerà il 60° anniversario della sua apertura. Per questo sono in produzione una serie di sussidi per permettere a quanti non hanno memoria dell’evento di incuriosirsi e di entrare nel merito del Concilio”;
  2. b) dedicare l’anno 2024 “alla preghiera, in modo da creare un contesto favorevole al Giubileo e permettere ai pellegrini di prepararsi a questo evento in un modo coerente ed efficace”.

2) Per quanto riguarda il cammino sinodale delle chiese in Italia, i Vescovi propongono un secondo anno di ascolto, illuminato da una immagine evangelica: la casa di Betania e i cantieri che essa suggerisce.

Se nel primo anno abbiamo apprezzato l’incontro tra le diverse vocazioni e componenti del popolo di Dio (laici, consacrati, diaconi, presbiteri, gruppi e movimenti), possiamo accogliere con gioia la proposta di proseguire con lo stesso stile. A questo proposito, per non perdere la ricchezza delle riflessioni emerse nel primo anno, è mio desiderio venire, nel prossimo autunno, nelle dieci zone della Diocesi per incontrarvi, presentarvi la relazione diocesana inviata a Roma e ascoltare le vostre proposte su come continuare e rafforzare lo stile sinodale nelle comunità e nella diocesi.

In questo secondo anno, possiamo porre altrettanta passione e creatività per incontrare gruppi e persone che non abbiamo incontrato e che invece desideriamo ascoltare per crescere insieme. Sarà l’opportunità di consolidare il “metodo della conversazione spirituale” a partire dall’ascolto della Parola di Dio in piccoli gruppi, disposti alla condivisione della risonanza interiore che essa produce. Nello stesso tempo, è parso opportuno orientare l’ascolto del secondo anno lungo alcuni “cantieri” (vedi allegato 2).

A partire dall’immagine della “casa di Betania”, i Vescovi e l’equipe nazionale del cammino sinodale ci propongono questi “cantieri”:

Il cantiere dei villaggi

Gesù giunge alla casa di Betania dopo aver percorso strade e villaggi e aver così incontrato le persone nel loro habitat naturale. Ugualmente, anche noi siamo invitati a prestare ascolto ai diversi ambienti in cui i cristiani vivono e lavorano. Potremo curare l’ascolto di quegli ambiti che sembrano essere rimasti in silenzio o inascoltati: innanzitutto il mondo delle povertà, delle fragilità e delle molte forme di emarginazione, esclusione o discriminazione (nella società come nella comunità cristiana) e poi il mondo della cultura e delle religioni, delle arti e dello sport, dell’economia, delle professioni, dell’impegno politico e sociale. Il Concilio Vaticano II, profezia dei tempi moderni e punto di riferimento per il Cammino, ha ricordato che la Chiesa non solo offre, ma anche riceve dal mondo (cf. GS 44-45). Questa attenzione ci porterà a misurarci con la questione dei nostri linguaggi, che in alcuni casi risultano difficili da decodificare per chi non li frequenta abitualmente. Alcune domande ci possono aiutare a cogliere chi ancora è escluso

  • In concreto, verso quali ambienti vitali possiamo allargare il raggio del nostro ascolto?
  • Chi vorremmo effettivamente ascoltare per conoscere meglio il nostro territorio?
  • Di quali linguaggi dobbiamo diventare più esperti?
  • Come comunità ecclesiale, da quali attori o gruppi sociali possiamo dire di aver imparato qualcosa?

Il cantiere delle case

Nella casa di Betania, stanco del suo camminare a servizio del regno, Gesù ha sperimentato l’accoglienza e il calore dell’amicizia, importanti per riprendere le forze lungo il suo impegnativo cammino. Le comunità cristiane attraggono quando si configurano come “case di Betania”, non come nidi in cui nascondersi, bensì come luoghi in cui si vive concretamente l’accoglienza e la cura dei più fragili; dove si vive la fraternità, dove si impara la fede (“piccola chiesa domestica”).

Gli interrogativi di questo secondo cantiere riguardano la qualità delle relazioni vissute in comunità, come pure il peso e il senso delle strutture pastorali e spirituali (in particolare i Consigli…), perché siano poste al servizio della missione e non assorbano energie per la sola autoconservazione.

  • In quali momenti e attività, la comunità parrocchiale si pone in ascolto della Parola e della vita?
  • Di quali strutture la comunità ha effettivamente bisogno per l’evangelizzazione e quali invece potrebbe dismettere?
  • Quale autorità si è disposti a riconoscere agli organismi di partecipazione ecclesiale nell’esercizio della comune vocazione battesimale?
  • Che cosa possiamo cambiare perché gli uomini e le donne del nostro tempo si sentano a casa nelle nostre comunità?

 Il cantiere delle diaconie

Nella casa di Betania, Gesù incontra accoglienza e ascolto, e allo stesso tempo affanno e ansietà. Un servizio che non parte dall’ascolto, crea dispersione, preoccupazione e agitazione per i molti servizi. Lo sa bene Marta, ma anche noi a volte cadiamo nel “martalismo”. Nel “cantiere delle diaconie”, che focalizza l’ambito dei “servizi” ecclesiali, ci interroghiamo sulla loro qualità. Spesso la pesantezza nel servire nasce dalla logica del “si è sempre fatto così” (cfr. Evangelii gaudium 33), dall’accumulo di cose da fare, dalle burocrazie ecclesiastiche e civili, dal trascurare inevitabilmente la centralità dell’ascolto e delle relazioni.

Ci possiamo anche interrogare sul tema della corresponsabilità per la missione, oltre l’idea della semplice collaborazione. Sappiamo suscitare collaborazione, predisponiamo occasioni di formazione, valorizziamo le ministerialità istituite, le diverse vocazioni e i servizi ecclesiali, innestati nella comune vocazione battesimale del popolo di Dio “sacerdotale, profetico e regale”? I carismi, servizi e ministeri nella Chiesa non sono semplicemente diaconie interne alla comunità, ma sono diaconie missionarie, segno e strumento della cura della comunità cristiana verso tutti, specialmente verso i poveri e gli emarginati, con particolare attenzione alla cultura e agli ambienti sociali in cui viviamo.

  •  Che cosa può aiutare a “liberare” il tempo necessario per avere cura delle relazioni?
  • C’è sete di spiritualità. Quali accompagnamenti possiamo offrire nella comunità cristiana (e non solo nei gruppi e movimenti)?
  • Quali dinamiche possono favorire la corresponsabilità di tutti i battezzati?
  • Come coinvolgere le donne e le famiglie nella formazione e nell’accompagnamento?
  • Come possiamo costruire itinerari formativi alla dimensione del “camminare insieme” per le diverse figure e i diversi soggetti della comunità ecclesiale (presbiteri, religiose/i, laiche/i)?

 Accanto a questi tre cantieri, Ogni Chiesa locale è poi invitata ad individuare un “quarto cantiere”. Per la diocesi di Vicenza, dopo avere ascoltato tanti fratelli e sorelle, propongo, come quarto cantiere, il cantiere della missione. L’Eucaristia domenicale dovrebbe essere il momento in cui confluiscono le attività e i servizi in atto e che trovano la loro radice nell’eucaristia, diventando così “diaconie missionarie”. Alcune domande per riflettere su questo punto:

  • Cosa potremmo fare per rendere le nostre liturgie più partecipate e vive?
  • In che modo potremmo diminuire la distanza tra liturgia e vita quotidiana, tra preghiera e situazioni di dolore, sofferenza o di speranza?
  • Di quali servizi hanno maggiormente bisogno le nostre comunità, a partire dai quattro ambiti?
  • Quali persone, quali carismi, quali competenze rimangono al momento sopite e non valorizzate?
  • In che modo la celebrazione eucaristica può rendere visibile la collaborazione dei vari ministeri e rappresentare per tutti la sorgente del dono di sé?
  • Come vivere i servizi non solo all’interno delle nostre comunità, bensì come “diaconie missionarie”, segno e strumento della cura della comunità verso tutti, specialmente verso i poveri e gli emarginati?

3) Un’attenzione particolare: i ministeri istituiti e di fatto.

Per uscire dal clericalismo, papa Francesco sta proponendo vari metodi e iniziative. Tra questi merita attenzione il tema dei ministeri, che è anzitutto una disponibilità all’ascolto dello Spirito, più che una questione organizzativa. Siamo il Corpo di Cristo formato da varie membra, tutte importanti e necessarie, e ne prendiamo coscienza con il Battesimo che fonda il sacerdozio comune dei fedeli, grazie al quale ciascuna e ciascuno ha molto da offrire in dono.

Ridando vigore all’iniziativa di papa San Paolo VI nel “motu proprio” “Ministeria Quaedam” (1972), papa Francesco ha ripreso la questione dei ministeri in due “motu proprio” (“Spiritus Domini” e “Antiquum Ministerium”, 2021). In essi, ha ridato vita ai due ministeri laicali istituiti (lettorato e accolitato), conferiti ufficialmente dal Vescovo con un certo grado di ufficialità e stabilità e li ha arricchiti di un terzo (catechista). Di particolare valore la modifica del canone 230 del CDC, per estendere l’accesso ai ministeri alle donne.

Accanto ai ministeri ordinati (vescovi, presbiteri e diaconi) e agli innumerevoli “ministeri di fatto” di laici e laiche, possiamo pensare a ministeri conferiti a laici e laiche con un rito di istituzione che li pone stabilmente in un servizio specifico nella e per la Chiesa locale. Negli incontri che sapremo suscitare nei prossimi mesi potremo chiederci di quali ministeri, servizi e collaborazioni le nostre comunità abbiano bisogno, come individuare eventuali persone disponibili a mettersi a servizio in modo stabile e riconosciuto, quali criteri di scelta e di formazione siano da preferire.

Negli incontri fin qui compiuti, oltre ai tre ministeri istituiti proposti da papa Francesco, sono emerse quattro aree urgenti di servizio: servizi nell’area amministrativa; servizi per le esequie e il commiato; servizi nella cura ed educazione dei giovani; servizi nell’ambito caritativo e sociale. Questi servizi, ministeri di fatto più che istituiti, hanno bisogno di essere precisati ed eventualmente proposti anche con le possibilità offerte dal Codice di Diritto Canonico.

I ministeri istituiti possono offrire un contributo importante alla de-clericalizzazione, perché si propongono il servizio come una espressione matura della fede battesimale, per il bene della Chiesa e del mondo. Non sono infatti servizi solo liturgici, ma servizi che riguardano tutta la vita comunitaria in riferimento alla Parola e alla Liturgia (cfr. Antiquum Ministerium 7 e 8). Sono segno di una Chiesa in uscita che incontra le persone là dove vivono e offre loro il dono della Parola e del Corpo e Sangue di Cristo. Si tratta di servizi di animazione comunitaria, segni di partecipazione, comunione, fiducia.

L’iniziativa ha una grande importanza ecclesiologica, alla luce della visione conciliare del popolo di Dio, formato da soggetti corresponsabili della vita e della missione della Chiesa.

Conclusione

Sono convinto, per tornare ad una affermazione iniziale, che per la nostra Chiesa questo tempo, con le sue sfide non facili, sia comunque un tempo di grazia (“Kairòs”), in cui lo Spirito ci chiede il coraggio di sperimentare strade nuove di maggiore corresponsabilità. L’esperienza non facile ma felice dei “Gruppi Ministeriali” ci dice che è possibile una forma di animazione comunitaria basata sulla condivisione di compiti e responsabilità: ministri ordinati (preti e diaconi), ministri istituiti (lettori e accoliti e “catechisti”, maschi e femmine) e ministri di fatto (i tanti servizi già presenti nelle nostre comunità) vanno ripensati nella loro interazione perché possano agire in comunione come membra di un unico corpo. I gruppi ministeriali, pur con i loro limiti e le loro fatiche, che non sono primariamente orientati al fare, ma rappresentano una “equipe di saggi”, rendono possibile, in comunione con i presbiteri, una lettura comunitaria di fede sulla realtà. La corresponsabilità pastorale di laici e preti è necessaria, se vogliamo che i battezzati vivano pienamente la loro vocazione di discepoli e che i preti possano recuperare il loro ruolo di servitori della Parola, dei sacramenti e di accompagnatori spirituali. Sono convinto che ci siano, nelle nostre comunità, molti carismi sopiti, che attendono di essere accolti e valorizzati. “Non spegnete lo Spirito”, ci raccomanda l’apostolo Paolo (1Ts 5,19). Sarebbe davvero imperdonabile, sprecare la grande opportunità che lo Spirito ci sta offrendo.

Affidiamo il nuovo anno pastorale all’intercessione e protezione di Maria, madre di Gesù e madre nostra, Madonna di Monte Berico, perché non venga meno il desiderio dell’incontro e dell’ascolto, così pure non diminuisca il desiderio di mettere a servizio delle nostre comunità i doni e le grazie che lo Spirito ha seminato tra di noi.

 

Il Signore vi benedica,

+ Beniamino Pizziol

Vescovo di Vicenza

Vicenza, 7 settembre 2022

 


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Messaggio del Vescovo alla Diocesi per l’anno pastorale 2022-2023 – Diocesi di Vicenza