L’influenza russa in Africa tra decolonizzazione e mondo multipolare

C’è un continente dove i movimenti di potenza globali si stanno traducendo più rapidamente che altrove in reali cambi di equilibrio geopolitico. Si tratta dell’Africa, dove sempre più Paesi stanno cercando una nuova collocazione geopolitica, distante dal passato neocoloniale. Le congiunture internazionali, infatti, stanno fornendo all’Africa le potenzialità per diventare un importante attore nel teatro politico mondiale. Da secoli terra di saccheggio dell’Occidente capitalista, l’indebolimento della presenza francese, inglese e statunitense sul territorio, da un lato, e la recente crisi russo-ucraina, dall’altro, stanno creando le condizioni affinché molteplici nazioni del Continente nero stiano seguendo nuove direttrici per seguire propri progetti d’indipendenza, coesione e sovranità già da tempo elaborati e teorizzati dal movimento panafricanista.

Principali esponenti di quest’ultimo sono stati personaggi storici visti da tanti come eroi per aver combattuto ed aver pagato spesso con la vita le proprie idee per l’Africa come Patrice Lumumba, Thomas Sankara, Nelson Mandela, Sékou Touré e Kwame Nkrumah. In questo contesto di lotta contro l’egemonia occidentale, l’Africa ha individuato nella Russia uno dei suoi principali partner e alleati su cui provare a fare affidamento per accelerare il percorso verso l’indipendenza e la libertà: di conseguenza, essa è diventata oggetto di grande attenzione negli ultimi anni da parte soprattutto di Francia e Stati Uniti che cercano di recuperare il loro ascendente sulla regione, dopo lo sgretolamento in favore della rapida ascesa del peso russo nel continente. Sono sempre di più, infatti, gli stati in cui la popolazione africana manifesta nelle strade contro l’egemonia francese e al contempo garrisce le bandiere della Federazione russa per manifestare la sua vicinanza e i suoi legami con Mosca: ultimo caso tra questi è rappresentato dal Burkina Faso, in cui all’inizio di ottobre si è verificato il secondo golpe nell’arco di meno di un anno che ha visto la destituzione del colonnello Damiba a causa della sua incapacità di garantire la sicurezza contro il terrorismo nella regione. Dopo l’intervento dei militari che hanno rimosso il colonnello dal suo incarico, centinaia di persone si sono riversate nella piazza principale della Nazione a Ouagadougou per chiedere la cooperazione militare con la Russia, rifiutare la presenza militare francese nel Sahel e chiedere la partenza del tenente colonnello Damiba. Sono molti, tuttavia, gli Stati africani che guardano alla Russia come principale alleato geopolitico, tra cui il Mali e la Repubblica Centrafricana (RCA). Non è un caso allora che tutti i Paesi africani – ad eccezione dell’Eritrea che ha votato contro – abbiano deciso di non prendere parte al voto o si siano astenuti sulla risoluzione di condanna della cosiddetta “operazione militare speciale” russa in Ucraina proposta dall’ONU lo scorso 2 marzo 2022.

Manifestazioni a sostegno della Russia e contro la Francia in Mali

L’Africa nel mondo multipolare e l’eredità dell’URSS

Un’Africa indipendente e libera dalla dominazione occidentale è vista come indispensabile nel processo di costruzione del mondo multipolare, di cui il Continente nero è destinato a diventare un importante tassello. Mosca, dunque, che è tra i principali propugnatori dei nuovi equilibri globali, ha tutto l’interesse a velocizzare il processo di liberazione africana in vista del nascente mondo multicentrico, ma ciò non deve dare adito ad equivoci: il rapporto di reciproco rispetto tra Russia e Africa non è nato oggi in vista di interessi “contingenti”, ma risale ai tempi dell’URSS, quando già a partire dalla fine dagli anni Cinquanta, Mosca diede il suo contributo per porre fine all’imperialismo europeo, adoperandosi alacremente affinché fosse adottata la risoluzione 1514 delle Nazioni Unite del 1960 che prevedeva la concessione dell’indipendenza alle colonie africane, ponendo così le basi per un rapporto amichevole e paritario col continente nero. L’URSS ebbe un ruolo chiave nel processo di decolonizzazione di molti Stati africani, portato avanti attraverso il sostegno diplomatico e militare ai movimenti di liberazione, quali l’MPLA (Movimento popolare di liberazione dell’Angola), il FRELIMO (Fronte di liberazione del Mozambico), la SWAPO (South West Africa People’s Organization) in Namibia e la ZAPU (Unione popolare africana di Zimbawe). Sostenne, inoltre, anche l’ANC (African National Congress) in Sudafrica. Uno degli elementi più importanti che l’URSS utilizzò per approfondire i legami tra i due continenti durante il periodo della Guerra Fredda fu quello dell’istruzione: moltissimi presidenti africani studiarono nelle università sovietiche e nel 1960 Nikita Kruschev inaugurò a Mosca l’Università Russa dell’Amicizia tra i Popoli, rinominata nel 1961 Università Patrice Lumumba, in memoria del Primo ministro congolese, torturato e ucciso da alcuni compatrioti dietro la regia del governo belga e della CIA. Lumumba era, infatti, come Sankara, pericoloso per l’egemonia occidentale, in quanto era un convinto panafricanista e sostenitore dell’indipendenza vera e non solo di facciata del suo Paese. Non stupisce, dunque, che la Federazione russa possa oggi spendere – a ragione – la carta della potenza antimperialista e antirazzista pronta a supportare lo sviluppo africano in vista della costruzione di uno scacchiere internazionale multipolare. Al riguardo, si consideri che il Sudafrica – che ha grande influenza sulle altre nazioni del continente – è già parte dei BRICS e ciò sposta necessariamente l’asse degli equilibri in favore di Mosca, tanto che il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha difeso la neutralità del suo paese per quanto attiene il suo posizionamento nel conflitto russo-ucraino e ha criticato un progetto di legge statunitense, il Countering Malign Russian Activities in Africa Act, volto a monitorare e punire i governi africani che non si conformano alla linea antirussa americana. Anche l’Africa, dunque, rappresenta un importante terreno di scontro nella lotta tra il “vecchio” mondo unipolare a trazione americana e anglo-sionista e il nascente mondo multipolare che si fonda sulla sovranità delle nazioni e dei popoli e verso cui l’Africa sembra guardare con particolare interesse, riponendo le sue speranze per un futuro davvero libero dalla colonizzazione. La teoria del mondo multipolare (TMM) prevede una molteplicità di poli sovrani e indipendenti su scala globale, ognuno dei quali dotato di indipendenza economica, militare, culturale e strategica. Per polo si intende la coalizione tra una serie di più stati e si può considerare, dunque, come “aggregato regionale”. Il mondo multipolare si differenzia tanto da quello unipolare che dal modello bipolare della Guerra Fredda, proprio perché, per definizione, prevede più di due poli, oltreché il superamento del sistema westfaliano: la sovranità dello stato-nazione, infatti, non è più sufficiente né possibile all’interno dell’attuale contesto geopolitico e va, dunque, riconsiderata. Uno dei poli strategici potenziali del mondo multipolare è costituito proprio dall’Africa, insieme all’America Latina, all’Asia-Pacifico, al mondo arabo e all’Eurasia. Anche l’Occidente, naturalmente, costituirebbe uno dei poli del nuovo assetto internazionale se non avesse deciso di auto-escludersi, contrastandolo strenuamente.

La cattura di Patrice Lumumba

Il “risveglio africano” e la lotta al neocolonialismo

Lo scorso giugno, la Camera pubblica della Federazione russa ha organizzato la conferenza intitolata “La Russia e il risveglio africano: prospettive di lotta contro il neocolonialismo nel XXI secolo” con la collaborazione del Movimento Eurasiatico internazionale e l’intervento di ambasciatori africani, esperti di tematiche africane e di multipolarismo. Tra i presenti, anche l’ambasciatore della RCA in Russia, Dodonu-Punagaza Leon. Quest’ultimo ha iniziato il suo discorso proponendo di onorare con un minuto di silenzio i soldati russi impegnati in Ucraina, per poi aggiungere che la RCA sostiene pienamente l’operazione militare speciale della Russia e riconosce le repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk. «La Russia ha ascoltato le grida e i pianti di un popolo sotto pressione da parte delle forze internazionali, complici gli ex colonialisti. La Russia è intervenuta, asciugando le nostre lacrime come un liberatore», ha affermato.

Umar Sidibé, invece, membro dell’Unione degli Scrittori del Mali, nel suo intervento ha spiegato che la Francia ha imposto relazioni diseguali alle sue ex colonie, asserendo che «quello che viene definito neocolonialismo nel caso delle relazioni della Francia con le sue ex colonie, ad esempio, poggia su cinque pilastri principali. Si tratta di accordi e interazioni in campo politico, economico, monetario, culturale e militare», aggiungendo anche che «a livello economico, ci sono accordi formali che danno alla Francia un accesso privilegiato alle risorse africane e chiedono esportazioni limitate o vietate verso altri Paesi».

Dal canto suo, la recentemente uccisa politologa Daria Dugina – intervenuta alla conferenza come osservatrice politica del Movimento Internazionale Eurasiatista – ha detto che i Paesi africani sono entrati nella «terza fase della decolonizzazione». «La Russia, che ha sempre sostenuto un mondo multipolare, è interessata a fornire la massima assistenza possibile in questa terza fase. La Russia sostiene le idee di unità panafricana, sostiene il rafforzamento e la difesa dell’identità africana ed è pronta a sostenere l’opposizione alle nuove forme di colonizzazione sotto forma di globalizzazione, sfruttamento economico ed egemonia culturale», ha spiegato. Un elemento molto importate, dunque, unisce Africa e Russia: l’obiettivo comune di indebolire il dominio occidentale, riaffermando le identità culturali, linguistiche e sociali dei popoli contro l’uniformità livellante della globalizzazione americanocentrica funzionale all’impostazione materialista e consumista che caratterizza il globalismo anti-identitario di matrice europea e americana.

Il ritorno del Cremlino in Africa

Dopo la caduta dell’URSS nel 1991, la Russia interruppe le sue relazioni con l’Africa fino ai primi anni del Duemila: a partire da questo periodo, il Cremlino, sia sotto la presidenza di Medvedev (2008-2012) che sotto quella di Putin, cercò di riallacciare i rapporti con l’Africa, ottenendo ottimi risultati. Le relazioni commerciali, diplomatiche e inerenti la sfera militare, infatti, sono cresciute notevolmente con la maggior parte dei Paesi africani. Basti pensare che la rete dei partner commerciali della Russia in Africa comprende almeno venti Paesi: Algeria, Libia, Camerun, Ghana, Costa d’Avorio, Egitto, Mozambico, Angola, Zambia, Sudan, Ruanda, Zimbabwe, Madagascar, Congo-Brazzaville, Mali, Repubblica Centrafricana, Tanzania, Sudafrica, Uganda e Ciad. E che, nel 2018, gli investimenti russi nel continente hanno raggiunto i venti miliardi di dollari.

La Russia, in particolare, ha rinsaldato i legami commerciali con l’Algeria, già uno dei principali partner nel continente dell’ex Unione Sovietica: nel 2006, Putin propose di cancellare il debito del Paese nei confronti della Russia per 4,7 miliardi di dollari e, successivamente, i due Stati hanno firmato importanti accordi economici, come quello tra Gazprom e Sonatrach sul gas. In Angola, nel 2017 la compagnia nazionale russa Alrosa ha firmato un accordo per l’estrazione di diamanti, mentre la società Rosneft ha ottenuto due concessioni per lo sfruttamento del gas off-shore in Mozambico. Con la Libia, Mosca ha raggiunto un accordo sulla partecipazione delle Ferrovie russe (Rzd) alla costruzione di una linea tra Sirte e Bengasi. In Guinea si è impiantata l’azienda russa Rusal, primo produttore mondiale di alluminio. Infine, Armz, una filiale di Rosatom, la compagnia nucleare pubblica, ha acquistato nel 2010 un giacimento di uranio in Tanzania.

Anche sul fronte della sicurezza e dell’esportazione di armamenti, la Russia svolge un ruolo di primo piano: secondo le statistiche, infatti, è il primo fornitore di armi nel continente con il 44% del totale. L’Algeria è il principale cliente russo in questo settore, seguita da Egitto, Sudan e Angola. Inoltre, Mosca è partner della Nigeria nella lotta contro il gruppo jihadista Boko Haram, mediante l’addestramento dei militari nigeriani. Anche la Libia, dopo aver saldato un debito di 4,6 miliardi di dollari, si è impegnata ad acquistare attrezzature militari russe per un valore di 3 miliardi di dollari. Sempre sul piano della sicurezza, si riscontra la presenza nel continente del Gruppo Wagner, la più nota compagnia militare privata della Russia, fondata nel 2014 da Dmitriy Valeryevich Utkin, ex colonnello delle forze speciali russe nato nel 1970 in Ucraina: i consulenti, addestratori e combattenti del Gruppo sono stati inviati in almeno dieci nazioni, tra cui Repubblica Centrafricana, Libia, Zimbabwe, Angola, Madagascar, Guinea, Guinea Bissau e Mozambico. Ultimamente la loro presenza si è estesa anche in Mali dove la giunta militare è sempre più determinata a sostituire la presenza militare francese con quella russa, soprattutto in seguito al sostanziale fallimento dell’operazione Barkhane promossa dall’Eliseo. Gli appaltatori del Gruppo Wagner, inoltre, vengono inviati in Africa per proteggere le miniere di diamanti e i metalli preziosi, così come in Siria sono impiegati per proteggere oleodotti e impianti petroliferi.

Per suggellare questa intensa collaborazione sui piani economico, militare e diplomatico, il 23 e 24 ottobre 2019 si è tenuto a Sochi il primo vertice Russia – Africa, cui hanno partecipato 43 capi di Stato, 3000 delegati, oltre a rappresentati e imprenditori provenienti da tutti e 54 i paesi africani. Il valore degli accordi e dei memoranda siglati tra il Cremlino e gli invitati è stimato in circa 12 miliardi e 500 milioni di dollari.

Tuttavia, a legare i due continenti russo e africano non è solo il mero scambio economico-commerciale e l’ambito della sicurezza. La cooperazione tra Russia e Africa, infatti, si fonda su un sentimento e un ideale comuni più profondi: l’affermazione delle relative identità culturali, spirituali e sociali e di un proprio peculiare modello di sviluppo contro l’imposizione dell’universalismo dei valori e dello stile di vita occidentale imposto dal globalismo liberale. In altre parole, si tratta non solo di sostenere un anticolonialismo politico-economico, ma anche culturale e intellettuale. Questo comune sentimento è racchiuso in due movimenti che costituiscono i capisaldi della concezione sociopolitica e culturale dell’Africa e della Russia e che mirano a modellare il futuro dei due continenti e – indirettamente – della geopolitica globale: si tratta rispettivamente del panafricanismo e del neoeurasiatismo, i quali possiedono diversi elementi analoghi.

Panafricanismo e neoeurasiatismo

Il panafricanismo è un movimento patriottico la cui cifra distintiva è la lotta alla colonizzazione che persegue promuovendo l’unità politica e il sentimento d’identità comune tra i paesi africani, oltreché il ritorno delle persone africane nel mondo (africani della diaspora) nel loro paese di origine. Quest’ultimo punto è il motivo per cui il panafricanismo è fondamentalmente contrario alla massiccia emigrazione degli africani dalla loro terra madre: il fenomeno migratorio, infatti, costituisce il più grande depauperamento degli elementi più importanti per lo sviluppo di un popolo e di una nazione: l’ingegno e la forza produttiva e riproduttiva della gioventù che serve anche a contrastare il potere capitalista. Il panafricanismo è attraversato da diverse anime, quasi tutte fortemente identitarie e d’ispirazione socialista o tradizionalista o, in alcuni casi, caratterizzate da un connubio di socialismo e tradizionalismo in quello che solitamente si definisce “rossobrunismo”. Uno dei rappresentanti attuali del panafricanismo è il giovane Kemi Seba, nato a Strasburgo e ormai trasferitosi in Senegal da diversi anni: Seba, oltre a lottare contro il Franco CFA, invita tutti gli africani a tornare nelle loro terre e a rifiutare lo stile di vita consumistico occidentale. Leader del movimento panafricanista in Italia, invece, è l’attivista Mohamed Konare.

L’attivista e politico africano Kemi Seba

Il neoeurasiatismo russo, invece, in estrema sintesi, è una filosofia politica che si fonda su tre pilastri: l’integrazione dello spazio post-sovietico, la necessità di costruire un mondo multipolare e la creazione di un modello di sviluppo specificatamente russo. Si oppone sia al liberalismo che ad un certo nazionalismo volto a smembrare i territori dell’area post-sovietica. In politica interna, infatti, secondo uno dei massimi esponenti del movimento – il filosofo russo Alexandr Dugin – esso consiste in «una singola direzione strategica, un singolo Stato e diversi gruppi etnici, ognuno dei quali non rappresenta un’entità politica o nazionale, ma una parte del tesoro spirituale di uno Stato comune». Per quanto riguarda l’aspetto culturale, invece, lo stesso Dugin scrive che «l’eurasiatismo, conscio dell’aspirazione universale del logos occidentale, si rifiuta di considerare questa universalità come inevitabile. […] Percepisce la cultura occidentale come un fenomeno locale e transitorio e si dice a favore della molteplicità di civiltà e culture che coesistono a diversi livelli del ciclo storico. […] L’eurasiatismo è, in effetti, un pluralismo epistemologico».

Gli elementi in comune tra i due movimenti sono, dunque, facilmente individuabili nel rifiuto dell’universalismo del modello occidentale, nell’idea di integrazione continentale e nel forte sentimento identitario che si oppone strenuamente alla mondializzazione. Sono questi i fondamenti teorici e culturali alla base dell’affinità tra Russia e Africa su cui poggiano solo successivamente anche le relazioni commerciali e finanziarie e la cooperazione in materia di sicurezza e approvvigionamento alimentare. Solo costruendo una rete economica, finanziaria e industriale salda e indipendente da quella europea e americana, infatti, è possibile indebolire l’egemonia occidentale nel Continente nero e, in generale, nel mondo non occidentale. L’Africa ha, dunque, individuato nella Russia la possibilità e la speranza di affrancarsi da una plurisecolare schiavitù per entrare da protagonista nel nascente mondo multipolare. Ciò è confermato dalle parole di Kemi Seba che con riferimento al conflitto in Ucraina e agli equilibri di potere globali ha affermato: «Se la Russia vince questa guerra, [il movimento] può assumere un valore e un significato ancora più grande, rafforzando ciò che stiamo facendo nel continente africano […] per resistere al colonialismo, all’imperialismo in tutte le sue forme. Se la Russia riesce in questo, può diventare il garante della vittoria in questa lotta».

[di Giorgia Audiello]

L’influenza russa in Africa tra decolonizzazione e mondo multipolare