Clericalismo: negazione della sinodalità

Mi è capitato di recente di dialogare con un gruppo di presbiteri sul tema Sinodalità: modello di Chiesa. Ad un certo momento, uno di loro mi chiede a bruciapelo: «Che cosa, a tuo giudizio, concretamente dovremmo fare – tutti insieme, noi preti e voi laici – per contribuire a mettere davvero al bando il clericalismo che, in sostanza, è il corrispettivo della mancanza di sinodalità nella Chiesa e che papa Francesco continua a denunciare come una perversione?».

Alla domanda inaspettata credo di aver risposto in modo piuttosto confuso e raffazzonato. Vorrei ora, invece, rispondere in termini più organici.

Il clericalismo: un male complice

Va detto innanzitutto che il clericalismo, modo anomalo di concepire l’autorità nella Chiesa,[1] è un male complice o un peccato a due mani. Ad una parte consistente di “clero” piace la tentazione di clericalizzare i laici, ma tanti laici, in ginocchio, chiedono di essere clericalizzati, perché è più comodo e meno responsabilizzante.[2]

Il clericalismo, dunque, non è solo dei chierici: è un atteggiamento che, nella Chiesa, tocca tutti.[3] Esso è come il tango: lo si balla sempre in due. Non esistono laici clericali o clericalizzati che non abbiano l’appoggio di qualche prete. E non c’è un prete clericale che non abbia qualche laico che non sa che cosa fare se non lo domanda al prete.[4] Una sorta, dunque, di clericalismo attivo, voluto e alimentato dal clero, e di clericalismo passivo, subìto e accettato dal laicato.

No al clericalismo attivo

Non v’è ombra di dubbio che Francesco sia il primo vescovo di Roma a denunciare con particolare insistenza e severità la “perversione” del clericalismo attivo nella Chiesa, facendone un motivo ricorrente del suo magistero.[5] Un “peccato brutto” che, invece di guidare le pecore, non solo non le fa crescere, ma le uccide.[6] Una “piaga”[7] che rimanda alla prima delle Cinque piaghe della santa Chiesa di Antonio Rosmini.

Per contribuire a superare una tale perversione sarebbe opportuno, a mio sommesso parere, mettere in atto senza indugio alcuni rimedi che vado a indicare senza ordine di importanza dal momento che essi si integrano e si co-implicano a vicenda.

Nessuna ineguaglianza in Cristo e nella Chiesa

Mi sembra necessario, in primo luogo, archiviare definitivamente l’orribile concezione che la Chiesa sia fatta dal clero e che i fedeli ne siano solamente i beneficiari o la clientela[8] o, peggio, i sudditi,[9] e acquisire la consapevolezza che nella Chiesa «vige una vera eguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo».[10]

Ciò significa recuperare, rilanciare e tradurre in prassi la categoria di Popolo di Dio che, nel periodo postconciliare, si era prima scolorita e successivamente era stata emarginata.[11]

Chi, ai vari livelli della compagine ecclesiale, esercita il ministero gerarchico non deve spadroneggiare sui laici e sulle laiche, ma piuttosto riconoscerne e valorizzarne l’apporto specifico nella vita e nella missione della Chiesa. Il che richiede, da un lato, di superare uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del Popolo di Dio rimane solamente recettivo delle loro azioni[12] e, dall’altro, considerare i laici e le laiche non come obbedienti esecutori ed esecutrici di ordini dati dall’alto,[13] ma come portatori e portatrici di una visione della realtà e di un’esperienza spirituale da riconoscere, accogliere e valorizzare, perché l’opera di evangelizzazione e la vita ecclesiale possano compiersi in modo efficace.

Va, inoltre, valorizzato maggiormente l’apporto delle donne nella ministerialità della Chiesa, coinvolgendole nell’esercizio dei ministeri istituiti e in quelli di fatto e utilizzando, a livello liturgico, un linguaggio rispettoso dei generi, dal momento che esso è profondamente sbilanciato al maschile. Si potrà parlare di uscita dal sistema clericale soltanto nel giorno in cui nessuna funzione di governo, di insegnamento o di culto sarà interdetta alle donne.[14]

Il ministero ordinato: un servizio, non una promozione all’altare

Va, poi, superata una lettura gerarchico-sacrale del ministero ordinato, concependolo ed esercitandolo non come «promozione all’altare»,[15] ma come servizio gratuito e generoso da offrire.[16]

Accanto ad una decisa desacralizzazione del potere ecclesiastico,[17] vanno abbandonate pratiche pastorali, liturgie, simboli, titoli, cerimonie, linguaggi, modi di dire, stili di comportamento, aspettative che sovraesaltano il clero a detrimento del non clero e che, non di rado, sono associate a logiche patriarcali e androcentriche.[18]

Il ministero ordinato va rifondato «sulla comune radice battesimale, non solo a livello di principio, ma in modo fattivo e visibile».[19]

Sarebbe quanto mai utile, ad esempio, ripensare la funzione del parroco, alleggerendolo di quelle funzioni che possono essere assunte da laici e da laiche e condividendo i poteri oggi tutti assommati nella sua persona.[20] Il che, evidentemente, richiede di promuovere il lavoro in équipe che veda momenti condivisi di progettazione, attuazione e verifica in cui carismi e ministeri diversi offrono i necessari apporti.

Applicando al parroco ciò che la costituzione apostolica Episcopalis communio applica al vescovo,[21] si può affermare che il parroco è, contemporaneamente, maestro e discepolo. Egli è maestro quando, dotato di una speciale assistenza dello Spirito Santo, annuncia ai fedeli la Parola di verità in nome di Cristo capo e pastore. Ma egli è anche discepolo quando, sapendo che lo Spirito è elargito a ogni battezzato, si pone in ascolto della voce di Cristo che parla attraverso l’intero Popolo di Dio, rendendolo «infallibile in credendo».[22]

Il parroco decide, i parrocchiani si adeguano: non va bene

Vanno promosse e istituzionalizzate, con l’avvertenza di scegliere tempi e luoghi accettabili e sostenibili per tutti, robuste iniziative di formazione svolte in comune per laici, laiche, ministri ordinati o aspiranti al ministero ordinato, dal momento che il clericalismo «nasce nelle case di formazione dei chierici e dei religiosi».[23]

La formazione dovrebbe essere finalizzata anche a creare le premesse perché gli organismi di partecipazione dei fedeli siano in grado di apportare contributi effettivi alla vita della comunità, favorendo e incrementando forme di dialogo pastorale con la volontà di ascoltare tutti e non solo alcuni sempre pronti a fare i complimenti al parroco.[24]

Ciò richiede, da un lato, di coinvolgere i fedeli nella consultazione, nella progettazione e nella verifica della vita parrocchiale, superando la logica del “parroco decide” e i “parrocchiani si adeguano”, e comporta, dall’altro, il superamento della tentazione, da parte dei presbiteri, di coinvolgere solo i fedeli omogenei al loro pensiero e di avvalersi prevalentemente della collaborazione delle solite persone “allineate” che gravitano nei circuiti ecclesiali senza mai sollevare obiezioni. «Dispiace quando, in una parrocchia, l’unica cosa che fanno i fedeli è vedere quello che dice il parroco» e quando «il parroco smette di essere pastore per essere capo».[25]

Nessuna sinodalità in una Chiesa clericale

Dal momento che «il fenomeno del clericalismo è il corrispettivo della mancanza di sinodalità nella Chiesa»,[26] sarebbe quanto mai utile istituire in ogni realtà ecclesiale, accanto alla mensa della Parola, alla mensa dell’Eucarestia e alla mensa della Carità, anche la mensa della Sinodalità[27] alla quale invitare sistematicamente e periodicamente il Popolo di Dio per apprendere l’arte del vivere e del camminare insieme nel ripensare, pastori e fedeli laici, l’annuncio cristiano a partire dai linguaggi del nostro tempo.[28]

Camminare e lavorare insieme, preti e laici, a servizio del Vangelo, con parole e gesti concreti di accoglienza verso tutti, guardandoci dal dividere il mondo in buoni e cattivi, in santi e peccatori, dal sentirci migliori degli altri e dal tenere fuori i tanti che Dio invece vuole abbracciare.[29]

Nessuna riforma della Chiesa «in prospettiva sinodale è possibile senza una conversione interiore che superi il clericalismo e senza vivere esperienze sinodali e partecipative che possono essere occasioni per decostruire la mentalità clericale».[30] Dunque, soprattutto in questo periodo nel quale la Chiesa universale è invitata a riformarsi in senso missionario e sinodale, «fare esercizio di sinodalità»[31] non solo tra presbiteri, ma tra presbiteri e laici, è quanto mai necessario.

Uno dei rischi che oggi si corre nella Chiesa è quello di ridurre la sinodalità a un tema teologico per congressi e studi accademici, invece di cercare di tradurla in realizzazioni ed esperienze concrete e visibili.

No al clericalismo passivo

Bisogna, tuttavia, prendere atto che – come diceva Tonino Bello – spesso i laici «pretendono aree da clero di bassa forza». E proseguiva: «Tutto questo è pericoloso. Blocca la crescita e atrofizza i carismi. I laici che si clericalizzano non sono meno innocui dei chierici che si laicizzano»[32]. Se il ministro con atteggiamento clericale è su «una strada sbagliata», «peggio ancora sono i laici clericalizzati».[33] La «clericalizzazione del laicato», in quanto «piccola élite attorno al prete», finisce anche per snaturare la missione del laico.[34]

Per superare il clericalismo passivo, noi fedeli laici dovremmo essere messi nella condizione di esprimere una parola adulta, competente e significativa. Oggi, più che mai, esprimere, come credenti, una parola adulta, competente e significativa significa essere in grado di rispondere a coloro che ci chiedono spiegazioni sulla speranza che ci abita e di farlo con garbo, rispetto e retta coscienza (1Pt 3,15-16), più con la vita che con le parole.

Lo potremo fare se, nella Chiesa come nella società, riusciremo a vivere il nostro battesimo, come ci esorta a fare papa Francesco con un linguaggio decisamente originale (e financo colorito).

Cristiani operosi, creativi e profetici

Per mettere al bando il clericalismo nella sua forma passiva non servono cristiani parolai che si accontentano di dire «Signore, Signore!» (Mt.7,21), ma cristiani di azione e di verità che costruiscono la loro vita sulla roccia che è Cristo.[35]

Non cristiani gnostici, che cedono alla tentazione di trasformare l’esperienza cristiana in un insieme di elucubrazioni mentali che finiscono con l’allontanarli dalla freschezza del Vangelo,[36] ma cristiani che cercano di essere in Cristo, pensare come Lui, agire come Lui, amare come Lui e permettergli di prendere possesso della loro vita per cambiarla, trasformarla e liberarla dalle tenebre del male e del peccato.[37]

Non cristiani da salotto[38] o cristiani, che lo sono solo a tempo in alcuni momenti, in alcune circostanze e in alcune scelte,[39] ma cristiani che, avendo messo Cristo nella loro vita, si vedono crescere le ali della speranza per percorrere con gioia la via del futuro.[40]

Non cristiani indifferenti, ma cristiani operosi, creativi e profetici che non si coccolano in una spiritualità angelica, ma si mettono in docile ascolto della Parola di Dio che li immette nella vita, nelle situazioni di tutti i giorni, nell’ascolto delle sofferenze dei fratelli e delle sorelle, del grido dei poveri, delle violenze e delle ingiustizie che feriscono la società e il pianeta.[41]

Non cristiani che sono soliti fare uso del motto me ne frego, ma cristiani che conoscono solo il motto mi interessa.[42]

Sguardo rivolto al presente e al futuro, più che al passato

Per avere un laicato non clericale, è richiesta la presenza non di cristiani pelagiani che, in definitiva, fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato,[43] ma di cristiani dalla fede operosa per mezzo della carità (Gal 5,6)[44] che rende possibile la crescita nella vita di grazia.[45]

Non di cristiani indietristi, che soffrono di nostalgie del passato o che amano indossare una specie di armatura per difendersi dal mondo di oggi[46] o che guardano più al passato che al presente e al futuro,[47] ma di cristiani appassionati che inventano nuovi linguaggi in grado di trasmettere il Vangelo e inculturare la fede tra gli uomini e le donne del nostro tempo.[48]

Non di cristiani restaurazionisti vittime della tentazione di concentrarsi solo a guardare e cambiare le serrature delle porte, ma di cristiani chiamati dal Signore a un’opera splendida, a lavorare perché la sua casa sia sempre più accogliente, perché ognuno possa entrarvi e abitarvi, perché la Chiesa abbia le porte aperte a tutti.[49]

Instancabili coltivatori di sogni

Un contributo prezioso per prevenire e neutralizzare ogni forma passiva di clericalismo passivo può essere offerto non da cristiani pessimisti scontenti e disincantati, dalla faccia scura[50] e dallo stile di Quaresima senza Pasqua,[51] ma da cristiani che testimoniano con la vita e con la parola la gioia del Vangelo essendosi incontrati con l’amore di Dio in Cristo Gesù.[52]

Non da “cristiani di autunno” che si cullano in nostalgie, rimpianti e lamenti, camminando con lo sguardo rivolto verso il basso come fanno i maiali, ma da “cristiani di primavera”, instancabili coltivatori di sogni che credono convintamente che i giorni più belli devono ancora venire e che, all’orizzonte, c’è un sole che illumina per sempre.[53]

Non da cristiani disfattisti e tristi, che non fanno altro che lamentarsi del mondo e delle cose che non vanno, ma da cristiani che invocano ogni giorno lo Spirito Santo, il quale mantiene vivo l’ardore missionario, fa della vita una storia d’amore con Dio, invita ad attirare il mondo solo con l’amore e a scoprire che la vita si possiede solo donandola.[54]

Non da cristiani che guardano la vita dal balcone senza sporcarsi le mani,[55] ma da cristiani profondamente consapevoli che una fede autentica, mai comoda e individualista, implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra,[56] di operare per salvaguardare e valorizzare anche nella sfera pubblica quelle giuste relazioni che permettono a ogni persona di essere trattata con il rispetto e l’amore che le sono dovuti.[57]

Non da cristiani che, alla maniera di Ulisse, cercano di contrastare il canto delle sirene facendosi legare all’albero maestro e turano con la cera gli orecchi dei compagni di viaggio, ma da cristiani che, alla maniera di Orfeo, contrastano il canto delle sirene, suonando, con la loro cetra, una melodia più bella.[58]

Non da cristiani dall’anima anestetizzata che guardano il mondo alla maniera dei turisti o che rassomigliano a veicoli abbandonati, ma da cristiani che lasciano sbocciare i sogni, scacciano le paure paralizzanti, si danno al meglio della vita, aprono le porte della gabbia e volano via.[59]

Liberare Gesù risorto dalle formalità in cui lo abbiamo imprigionato

Il clericalismo passivo potrà essere sconfitto grazie alla presenza e alla testimonianza non di cristiani parcheggiati dentro una religione convenzionale, esteriore, formale, che non scalda il cuore e non cambia la vita, ma di cristiani che si lasciano spiazzare da Gesù e dalla gioia dirompente e scomodante del Vangelo, convinti che la fede non è un’armatura che ingessa ma un viaggio incessante e affascinante alla ricerca del volto di Dio.[60]

Non di cristiani dalla fede fatta di abitudini, di cose del passato, di bei ricordi dell’infanzia, che non interpella più, ma di cristiani che riconoscono il Crocifisso Risorto nella vita di ogni giorno, nella situazione che stanno vivendo, nella prova che stanno attraversando, nei sogni che si portano in cuore.[61]

Non di cristiani che cercano il Signore tra i relitti del passato e lo rinchiudono nel sepolcro dell’abitudine, ma di cristiani che fanno esperienza di Gesù risorto, liberandolo dalle formalità in cui spesso è stato imprigionato, risvegliandolo dal sonno del quieto vivere in cui a volte è stato adagiato, portandolo nella vita di tutti i giorni con gesti di pace in questo tempo segnato dagli orrori della guerra, con opere di riconciliazione nelle relazioni spezzate e di compassione verso chi è nel bisogno, con azioni di giustizia in mezzo alle disuguaglianze e di verità in mezzo alle menzogne e, soprattutto, con opere di amore e di fraternità.[62]


[1] Francesco, Lettera al Popolo di Dio del 20 agosto 2918.

[2] Francesco, Discorso ai membri dell’associazione Corallo (22 marzo 2014).

[3] Francesco, Veglia di preghiera con i giovani italiani (11 agosto 2018).

[4] Francesco, Discorso all’Unione Internazionale Superiore Generali (12 maggio 2016). Negli stessi termini, le parole di Francesco riferite dal segretario generale della CEI, Nunzio Galantino, nel corso dell’intervista a TV2000 (25 gennaio 2015).

[5] Dal 2018 all’ottobre 2022 in quindici occasioni Francesco ha parlato del clericalismo come “perversione” (della Chiesa, nella Chiesa, del ministero). Nei sette anni di servizio petrino di papa Francesco, dal marzo 2013 al marzo 2020, il vocabolo “clericalismo”, ben distribuito nel tempo, torna – secondo il conteggio effettuato da Daniele Menozzi (Storia di una parola, in Il Regno – Attualità 8/2020, pag. 233) – 55 volte.

[6] Francesco, Omelia (11 ottobre 2022).

[7] Così ha definito papa Francesco il clericalismo il 3 ottobre 2018 nel discorso di apertura della XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi dedicato ai giovani e il 14 febbraio 2020 nel messaggio al Presidente della Conferenza episcopale spagnola in occasione del congresso nazionale dei laici (Madrid, 14-16 febbraio 2020).

[8] Yves Congar, Per una Chiesa serva e povera, Edizioni Qiqajon, Magnano/BI 2014, pag. 143.

[9] Sembra incredibile. Ma di “sudditi” si parla ancora ben tre volte anche nei documenti del concilio Vaticano II: al n. 27 della Lumen gentium, dove la funzione di governo dei vescovi nella Chiesa è presentata, utilizzando un linguaggio gerarcologico di altri tempi, come dovere che ad essi compete “di dare leggi ai loro sudditi”; al n. 19 del decreto Christus Dominus sull’ufficio pastorale dei vescovi (ai vescovi deve essere garantita la libertà di comunicare “con la Santa Sede, con le altre autorità ecclesiastiche e coi loro sudditi”); al n. 2 della famosa Nota explicativa praevia aggiunta alla Lumen gentium a firma del segretario del concilio Pericle Felici (ai vescovi sono assegnati i sudditi).

[10] Lumen gentium n. 32.

[11] Ugo Sartorio, Sinodalità. Verso un nuovo stile di Chiesa, Àncora Editrice, Milano 2021, pagg. 26-27.

[12] Francesco, Evangelii gaudium n. 120.

[13] Francesco, Messaggio in occasione del 50° anniversario del Decreto “Apostolicam actuositatem” (22 ottobre 2015).

[14] Loïc de Kerimel, Contro il clericalismo, EDB, Bologna 2022, pag. 215.

[15] Francesco, Dialogo con i gesuiti del Madagascar (5 settembre 2019).

[16] Francesco, Discorso alla prima Congregazione generale del XV Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi (5 ottobre 2018).

[17] Simona Segoloni Ruta, Fratelli tutti? Chiesa e fraternità in questione, in: Elisabeth E. Green, Selene Zorzi, Simona Segoloni Ruta, Sorelle tutte, Edizioni La Meridiana, Molfetta 2021, pagg. 121-122.

[18] Serena Noceti, Vie di una riforma in prospettiva sinodale, in: Rafael Luciani-Serena Noceti, Sinodalmente. Forma e riforma di una Chiesa sinodale, Edizioni Nerbini, Firenze 2022, pag. 199.

[19] MichaelDavide Semeraro, Preti senza battesimo. Una provocazione, non un giudizio, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2018, pag. 62.

[20] Serena Noceti, Vie di una riforma in prospettiva sinodale, op.cit., pag. 244.

[21] Episcopalis communio n. 5.

[22] Evangelii gaudium, n. 119.

[23] Rafael Luciani, L’emersione di un’ecclesiologia sinodale. “Una definizione più completa della Chiesa”, in Rafael Luciani-Serena Noceti, Sinodalmente. Forma e riforma di una Chiesa sinodale, op.cit. pag.24.

[24] Francesco, Evangelii gaudium n. 31.

[25] Francesco, Videomessaggio al card. Mario Aurelio Poli, arcivescovo di Buenos Aires (27 ottobre 2018).

[26] Severino Dianich, Dalla teologia della sinodalità alla riforma della normativa canonica, in: Piero Coda e Roberto Repole (a cura), La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa. Commento a più voci al Documento della Commissione teologica internazionale, EDB, Bologna 2019, pag. 81.

[27] Armando Matteo, Convertire Peter Pan. Il destino della fede nella società dell’eterna giovinezza, Àncora Editrice, Milano 2021, pag.111.

[28] Gaudium et spes n. 44.                                                                               

[29] Francesco, Omelia (9 ottobre 2022).

[30] Serena Noceti, Vie di una riforma in prospettiva sinodale, op. cit., pag. 199.

[31] È l’espressione usata da papa Francesco incontrando i vescovi e i presbiteri della Chiesa di Sicilia (9 giugno 2022).

[32] Tonino Bello, Diari e scritti pastorali, Mezzina, Molfetta 1993, pag. 238.

[33] Francesco, Omelia Santi Pietro e Paolo (29 giugno 2022).

[34] Francesco, Discorso ai partecipanti al simposio “Per una teologia fondamentale del sacerdozio(17 febbraio 2022).

[35] Francesco, Meditazione mattutina (27 giugno 2013).

[36] Gaudete et exsultate, n. 46.

[37] Francesco, Udienza generale (10 aprile 2013).

[38] Francesco, Meditazione mattutina (16 maggio 2013).

[39] Francesco, Udienza generale (15 maggio 2013).

[40] Francesco, Omelia, Lungomare di Copacabana, Rio de Janeiro, Festa di accoglienza dei giovani (25 luglio 2013).

[41] Francesco, Omelia in occasione della Domenica della Parola di Dio (23 gennaio 2022).

[42] Francesco, Discorso ai giovani dell’Azione Cattolica Italiana (29 ottobre 2022).

[43] Evangelii gaudium n. 94.

[44] Gaudete et exsultate, n. 60.

[45] Gaudete et exsultate, n. 56.

[46] Francesco, Omelia del 28 luglio 2022 (cattedrale di Notre Dame a Québec), Omelia del 29 giugno 2022 e discorso all’Associazione italiana dei Professori e Cultori di liturgia (1° settembre 2022), Omelia del 4 settembre 2022 in occasione della beatificazione di Giovanni Paolo I.

[47] Francesco, Discorso ai partecipanti alle giornate pastorali delle comunità cattoliche francofone (14 ottobre 2022).

[48] Francesco, Discorso ai partecipanti all‘incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione su “Catechesi e Catechisti per la nuova evangelizzazione” (17 settembre 2021).

[49] Francesco, Omelia del 23 settembre 2021.

[50] Evangelii gaudium n. 85.

[51] Evangelii gaudium n. 6.

[52] Evangelii gaudium n. 120.

[53] Francesco, Udienza generale (23 agosto 2017).

[54] Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro internazionale La Chiesa in uscita, Ricezione e prospettive di Evangelii gaudium (30 novembre 2019).

[55] Francesco, Discorso in occasione della visita alla tomba di Primo Mazzolari (20 giugno 2017).

[56] Evangelii gaudium n. 183.

[57] Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dall’International Catholic Legislators Network (25 agosto 2022)

[58] Francesco, Discorso agli studenti e al mondo accademico, Bologna (1° ottobre 2017).

[59] Christus vivit n. 143.

[60] Francesco, Omelia (6 gennaio 2022).

[61] Francesco, Omelia (3 aprile 2021).

[62] Francesco, Omelia (16 aprile 2022).

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