BENEDIZIONE APOSTOLICA PER VINCENZO NARDELLA IL “MIRACOLATO” DI PADRE CIPRIANO DE MEO DA SAN SEVERO

Erano i primi tempi di quella che sarà da tutti ricordata come la peste del 2000: Il COVID-19. Di questo periodo storico Vincenzo Nardella ne porterà indelebile il ricordo visto che, proprio a causa della terribile patogenesi, si è ritrovato ad un passo dalla morte.

Alla splendida prestazione medica fornita dai medici del “Riuniti” di Foggia si è andata subito associando nella mente di Vincenzo la convinzione che a “riportarlo” in vita, dopo moltissimi giorni passati in coma farmacologico, sia stata la sua innata fede e l’amore verso una persona che non c’è più e che è venuta meno pochi giorni prima della terribile esperienza: Padre Cipriano  De Meo da San Severo.

A lui Vincenzo deve la salvezza e di lui porterà tatuato sul suo cuore il ricordo.

La sua testimonianza ha emozionato tantissime persone. Per questa ragione Vincenzo si sentì in dovere di rapportarlo in una lettera al Santo Padre.

La risposta di Papa Francesco non si è fatta attendere e con una missiva arrivata dal Vaticano il Papa ha voluto esprimergli gratitudine per la bellissima testimonianza fornita rammentando che è bello sentire i passi del Signore che ci affianca nel cammino, anche attraverso l’intercessione e la protezione di uomini e donne che lo hanno servito fedelmente invitando a trarne esempio.

La lettera è stata chiusa con la benedizione apostolica.

Un’ulteriore dimostrazione per Vincenzo e non solo  che si può godere della vita anche attraverso le sofferte esperienze che la stessa ci propina.

San Severo, 22.06.2022

Mauro Nardella

TESTIMONIANZA DI VINCENZO NARDELLA  PAZIENTE COVID GUARITO GRAZIE AI MEDICI DI FOGGIA E ALLA FEDE PER PADRE CIPRIANO

Mi chiamo Vincenzo e sono nato il 13 ottobre del 1965 a  San Severo, una cittadina in Provincia di Foggia. Mia madre mi ripete sempre che i miei primi latrati si sono diffusi all’interno della nostra umile ma piccola casa in un giorno insolitamente uggioso.

Di famiglia povera ma arricchito nei valori umani dalla severa impostazione data dai miei genitori, ho vissuto i miei primi anni dividendomi tra gli obblighi sociali e quelli meramente familiari.

Mio padre, umile ma severo contadino, doveva provvedere alla sussistenza di ben 7 persone e sfamare 6 figli ( uno deceduto alla tenera età di 1 anno) nati con una incredibile regolarità annuale. La carne, in ambito alimentare, era un privilegio altrui e a noi riservato solo nelle buone occasioni. La televisione era un optional che solo con il passare degli anni ha avuto modo di fare ingresso nella nostra casa.

Le non buone condizioni economiche imponevano quindi una diversa impostazione nella crescita armoniosa non solo mia ma anche dei restanti fratelli.

All’età di 10 anni sono stato  costretto, mio malgrado, ad impegnarmi nell’opera di integrazione economica della famiglia. Ho iniziato presto a lavorare e per poche migliaia di lire al mese. Il mio primo dei due  mestieri che ho avuto modo di imparare nella mia vita ( l’altro è quello che attualmente sto mettendo in pratica vale a dire quello di Operatore Socio Sanitario) è stato quello di falegname. Lavoravo tanto, troppo-. Talmente  tanto da essere costretto anzitempo ad abbandonare finanche la scuola dell’obbligo.  I veleni prodotti dalle esalazioni delle vernici e la polvere lignea, spesso erosiva, hanno caratterizzato in negativo la mia salute. Solo più in là mi sono reso conto che le febbri alte che spesso hanno accompagnato le mie giornate ergonomiche avevano devastato i miei polmoni relegandomi a paziente cronico in ambito bronchitico.

Sognavo una vita migliore ed indipendente. Le cause erano molteplici e andavano dall’amore che provavo per quella che poi sarebbe divenuta mia moglie e la voglia di sfuggire dall’eccessiva severità caratteriale di mio padre ( un giorno e per validi motivi che oggi gli riconosco sono stato costretto da lui a fuggire  sui tetti pur di evitare una lezione di quelle che avrei potuto ricordare, o forse no, per tutta la vita).

Non sono mancati momenti di totale de profundis psicologico alternati a rari momenti di gioia. Con poco riuscivo ad alienare le tossine mentali che si andavano a stratificare nella mia mente. Mio fratello Mauro ha rappresentato, se così si può dir,e la mia medicina umorale. I momenti passati con lui fungevano da stimolo per la mia esistenza. Partite di calcio giocate in notturna e finanche a mezzanotte; spalate di neve sul terrazzo di casa ove da sposato mi sono recato a vivere e delle sani mangiate a base di spaghetti doppi con sugo al peperone e carne arrosto mista hanno fatto sì che i momenti passati con lui potessero incamerarsi nel mio sub inconscio pronti a riemergere nella sua interezza nei momenti di bisogno.

Mi sono sposato all’età di 18 anni e a 21 sono divenuto per la prima volta padre. Luigi il mio primogenito è nato il 29 Maggio 1986  seguito a distanza di alcuni anni dalla secondogenita Marika.

Ho conosciuto diversi misfatti nella mia vita e, malgrado la gioia nell’aver costruito una famiglia che ha sempre dimostrato costante vicinanza alla mia persona, non sono mancati momenti di sconforto.

Il peggior periodo della mia vita è coinciso con la perdita del posto di lavoro e con esso i sogni di una vita. Membro di una società operante nel campo degli infissi con la quale ho comunque sperimentato momenti di elevata soddisfazione e raggiunto traguardi insperati, mi sono ritrovato anch’io a dover sperimentare le insidie del collasso economico subentrato alla crisi mondiale attivatasi nel 2008. La nostra azienda è stata tra le prime ad accusare forti ripercussioni fino ad arrivare, facendo seguito a quello del mondo edile, all’inevitabile fallimento.

Rabbia mista a disperazione hanno pervaso la mia mente. Mi sono ritrovato dall’oggi al domani devastato dal pensiero di dover a 50 anni ricominciare tutto da capo.

Come si sa il percorso di vita fatta da ogni uomo prevede anche che ci siano delle finestre aperte alla fortuna. La mia è stata quella di aver incontrato, proprio nel momento più difficile della mia esistenza quello che non ho paura ad affermare essere il mio angelo custode: Padre Cipriano!!!

Delle gesta di Padre Cipriano ne ero già stato messo a conoscenza da mio fratello Mauro. La sua storia è emersa nei suoi confronti in tutta la sua maestosità allorquando, alle prese con gli studi in quel dell’Istituto tecnico industriale “A.Minuziano” di San Severo, Mauro veniva più volte reso edotto delle sue opere dall’allora suo professore di italiano. Ricordo  quale innaturale curiosità e chiarezza Padre Cipriano rappresentava per mio fratello. Un autentico fulcro per il suo approfondimento  spirituale.

Ovviamente a me interessava poco ciò che mio fratello raccontava del frate esorcista se non i racconti morbosi di donne alle prese con delle autentiche crisi deliranti e sottoposte alle sue cure.

Di questa amabile persona ne avevo quasi perso le tracce salvo poi, un giorno di circa due anni fa, venire a conoscenza, per il tramite di mia cugina Soccorsa Chiarappa, delle sue impressionanti casistiche in ordine alle cure spirituali alle quali, anche io ho voluto sottopormi.

Per meglio rappresentare il rapporto con Padre Cipriano credo sia opportuno riavvolgere un po’ il nastro della mia vita. Come dicevo la mia vita raggiunge il culmine della disfatta nel momento in cui persi il lavoro. Ero uno di 4 soci di un’azienda dedita alla produzione di infissi in legno. L’azienda portava il nome di “Linea Porte” ed era tra le realtà imprenditoriali più famose e conosciute di San Severo. L’ attività sembrava andasse bene.. Certo non navigavamo nell’oro ma di certo mai avrei immaginato che di li  a poco avrei vissuto quello che non sarebbe sminuente affermare un vero e proprio inferno.

L’Azienda come dicevo, complice la terribile crisi globale che dal 2008 in poi ha colpito il mondo intero, è andata incontro ad un lento seppur costante collasso.

Io non ero avvezzo all’amministrazione contabile del bene tant’è che dei 4 soci ero quello che più di tutti operava all’interno del contesto operativo. Io, per intenderci, ero colui il quale effettuava le rifiniture degli infissi che sarebbero poi stati montati nei più disparati cantieri edili della Regione e non solo.

Mai mi sarei immaginato che quella fiorente attività potesse conoscere l’infame condizione del fallimento.

Fummo costretti a chiudere e decine e decine di operai indotti al licenziamento.

 In conseguenza di ciò il mio stato psicologico subì un notevole decadimento salvo poi, ma questo accadeva solo diversi anni dopo, ridestarsi e coltivare nuovi interessi volti a soddisfare la mia voglia di rimettersi in discussione dal punto di vista lavorativo.

Decido così di cambiare radicalmente vita decidendo di dedicarmi al mondo dell’assistenza sociale  partecipando prima ad un corso e successivamente acquisendo il diploma di Operatore Socio Assistenziale.

Da quel momento, tuttavia, ho cercato invano di ricostruirmi un’identità e, soprattutto, una dignità attraverso la ricerca di un posto di lavoro attinente la professione di OSS. Tutti i tentativi da  me  intrapresi per raggiungere l’agognato posto di lavoro sono caduti sistematicamente nel vuoto. Scopro di possedere un’innata vocazione per questa forma di assistenza alla persona  e che reputo rientri tra le più sensibili e delicate professioni attualmente in voga.

Uno dei miei primi risultati li ho conseguiti al raggiungimento di quello che ai più, fino ad allora, sembrava rappresentasse un’autentica chimera: aver regalato a nostro cugino la possibilità di poter finalmente scendere dalla stanza presso la quale era ricoverato e dalla quale non usciva mai e riconquistare la visione del mondo esterno. A questo si aggiunse l’ottenimento di una sedia semovibile elettrica per farlo muovere in autonomia e un pass per disabili per consentire a chi lo accompagnava di avere facile accesso negli anfratti urbani.

Malgrado avessi tutti i requisiti per fare bene in questo ambito ho cercato in tutti i modi di trovare, non riuscendovi però, un posto di lavoro che potesse definirsi tale.

A molti ho chiesto un supporto o quanto meno una leale guida al raggiungimento dell’agognato obiettivo.

Mai mi sarei sognato di ricorrere a metodi abietti ed illegali. Nostro padre che ci guarda da lassù non me lo avrebbe mai perdonato.

Ho cercato in maniera trasparente e limpida di raggiungere l’agognato obiettivo  ma con risultati incredibilmente nulli seppur avessi con mia somma sorpresa una innata capacità nel sapermi dedicare con dedizione ed abnegazione agli altri.

Nel frattempo attorno a me, come se fosse divenuta appariscente la mia eccessiva vocazione, si andavano addensando nuvole sempre più nere.

Alcune persone avevano  cercato di approfittarsene cercando, come spesso accade in questi casi, di colpirmi nella mia debolezza di persona troppo buona, ovvero ingenua.

Quando le cose iniziavano a farsi davvero difficili, per non dire insostenibili, in mio aiuto  intervenne prima il reddito di inclusione e, successivamente, quello di cittadinanza.

Pur tuttavia continuai, complice la mia innata voglia di mettermi in discussione, a cercare invano un posto di lavoro.

Quello di OSS sarebbe stato per me il lavoro della riscossa, della mia revisione interiore e, soprattutto, del riscatto verso quella società che sembrava mi avesse abbandonato ma che, attraverso un appoggio normativo voluto per sostenere gli indigenti, era riuscito se non altro a farmi sopravvivere.

Molti erano i demoni che hanno cercato di circuire la mia mente  e a rendermi schiavo di fuorvianti e  penalizzanti situazioni.

Per un periodo di tempo sono stato circonvenuto da una serie di soggetti che successivamente Padre Cipriano avrebbe catalogato quali demoni.

Ma ora veniamo al dunque…

 

 

INCONTRO CON PADRE CIPRIANO

Dopo tutte le peripezìe alle quali fui costretto  successe che durante una visita fatta a padre Cipriano fu proprio quest’ultimo a dirmi: “ Vincenzo tu sei una persona buona ed amabile ma attorno a te si sono addensati troppi demoni”.

Grazie a Soccorsa e a mia sorella riuscii, attraverso la spinta emotiva data dall’incontro avuto con Padre Cipriano, a rideterminare il mio atteggiamento di disponibilità eccessiva offerta  a talune persone  tanto da avermi instradato verso un percorso di recupero spirituale che , e lo posso dire senza ombra di smentita, mi ha portato a vivere un concetto nuovo di vita.

Da quel giorno  quasi quotidianamente e puntualmente alle 7.30 mi prestai  all’ascolto e alla compartecipazione della Santa messa  in quel della chiesa dei Cappuccini officiata proprio da Padre Cipriano.

Il Martedi invece li facevo tappa fissa recitando il rosario in quel del gruppo di preghiera “Padre Matteo Agnone”.

Tutto questo è andato avanti fino a quando padre Cipriano non cadde rompendosi il femore.

Successivamente io e mia moglie andammo a trovarlo prima all’ospedale di San Severo ove Padre Cipriano fu inizialmente ricoverato ed operato  e successivamente presso Casa sollievo della sofferenza in quel di San Giovanni Rotondo ove ottenni per l’ultima volta la sua benedizione.

 

 

 

 

CONTRASTO TRA DEMONIO E PADRE CIPRIANO VISSUTO ATTRAVERSO IL MIRACOLO DI CUI SONO STATO BENEFICIARIO?

 

Di quello che è successo in quei mesi credo sia il caso di non tralasciare nessun particolare. Ho più volte pensato e ripensato a quanto accadutomi e mi sono reso conto che molto più che un qualcosa di straordinario mi sia capitato .

Attraverso questa storia credo si possa dimostrare il teorema che contrappone il male al bene seppur, quest’ultimo, abbia mai come in questo caso avuto la meglio. Ma andiamo per ordine.

Dopo aver conosciuto il ritrovato benessere spirituale attraverso la frequentazione di padre Cipriano  quasi per  incanto mi sembrava si fosse subito accesa un barlume di speranza o quanto meno un alone di positivi riscontri.

Trovata la forma per rispondere ad un avviso pubblico emanato dalla Protezione Civile e riguardante la ricerca di OSS per far fronte all’emergenza COVID, in maniera quasi del tutto insperata venivo contattato dagli uffici preposti e dai quali mi veniva notificata la possibilità di poter prestare opera lavorativa, seppur a tempo determinato, in quel del carcere di San Severo.

Era l’occasione che mi era stata offerta dalla Divina Provvidenza.

Il diavolo però, soprattutto quando si ha a che fare con Padre Cipriano, quasi a volerlo sfidare,non tardò a metterci sul mio nel destino.

Ma ora stiamo molto attenti alle date.

Avrei dovuto prendere servizio presso la Casa Circondariale di San Severo il 16 Dicembre 2020 previa presentazione di attestazione alla negatività al covid.

Fino al 3 di Dicembre sembrava filasse tutto liscio. Il mio entusiasmo  era arrivato alle stelle salvo poi vederlo frantumarsi dapprima con la notizia della morte di Padre Cipriano e, successivamente, per via di una serie di avvenimenti che mi hanno caratterizzato negativamente, il mio agognato sogno di iniziare a lavorare nuovamente e, come dicevo, dopo quasi 10 anni passati a rincorrere questo giorno.

Il 4 di Dicembre ( giorno del funerale di padre Cipriano) purtroppo inizia per me un autentico calvario e che mi vedrà inconsapevole attore dello scontro tra il bene ( Padre Cipriano) e il male (il diavolo).

Vi descrivo qui di seguito cosa me lo fa pensare.

Il 4 di dicembre iniziai ad avvertire sintomi simil influenzali.

Io che ho sempre seguito alla lettera le prescrizioni anticovid avevo da subito escluso si potesse trattare di sintomi riconducibili ad esso.

 Le mie condizioni tuttavia iniziarono a peggiorare.

Miracolosamente in mio aiuto intervenne l’obbligo di sottopormi al tampone. Condizione, quest’ultima, essenziale per intraprendere l’esperienza lavorativa che avrei dovuto affrontare. Questo particolare sarà determinante per iniziare a parlare di una situazione che va al di la della semplice normalità.

Senza il tampone io avrei, infatti, sicuramente sottovalutato la possibilità  si trattasse di covid.

 Il fatto che sia intervenuta la provvidenziale ed insperata richiesta di prestare servizio in quel di carcere di San Severo ha fatto si che il 9 di dicembre io, attraverso il responso del tampone al quale sono stato obbligato a sottostare, venivo a conoscenza di essere positivo, ovvero affetto da coronavirus.

Da questo momento per me cambiava radicalmente l’approccio con la malattia e quindi con la tipologia della cura. Il saturimetro fu il primo strumento celermente acquistato e la misurazione della saturazione dell’ossigeno da quel momento rappresentò una costante.

Solo attraverso questa pratica si è potuto affrontare l’emergenza che di li a pochi giorni dopo mi avrebbe condotto nel tunnel della disperazione.

Il 13  Dicembre mia moglie nota un netto peggioramento delle condizioni e una saturazione pari all’ 84%. Chiamato il 118 su  indicazione di mio fratello Mauro ( coincidenza ha voluto che in quel mentre Mauro fosse di servizio presso il reparto di pneumologia covid dell’ospedale dell’Aquila e quindi messo nelle condizioni di capire cosa  fare per gestire al meglio la situazione) si procedeva a misurare i parametri vitali. Veniva così stabilito che era necessario ricorrere ad una cura a mezzo ossigeno. Tuttavia lo stato delle cose non portavano alla decisione di ricorrere alle cure ospedaliere.

Poco tempo dopo le mie condizioni  non solo non miglioravano ma portavano mia moglie a richiedere nuovamente l’intervento del 118.

Anche in questo caso, tuttavia, pur avendo costatato l’aggravamento delle mie condizioni, non si intraprese la decisione di condurmi in ospedale.

Ma fu fortunatamente solo rinviato di qualche ora laddove, raggiunto condizioni estreme di saturazione e al limite del soffocamento, fui condotto in codice rosso presso l’Ospedale Riuniti di Foggia.

Alle 21.00 circa ricordo che chiamai mio fratello per dirgli, con un fiato cortissimo e un sillabare quasi impossibile da capirsi, che le mie condizioni erano critiche e che sarei dovuto essere portato in terapia intensiva.

Mi ricordo che il tempo trascorso in ambulanza lo avevo passato facendo orazioni  a favore di Padre Cipriano e Padre Pio. Lo facevo stringendo nella mia mano  il rosario che mi regalò, non prima di avermelo benedetto, proprio Padre Cipriano

Dopo qualche minuto si aprì per me una finestra fatta di solo buio.

Da questo momento inizia, complice l’ingresso in sala rianimazione e la sottoposizione a coma faramacologico, una nuova fase che porta alla testimonianza di mio fratello Mauro…..

TESTIMONIANZA DI MAURO

 

Tornato a casa dopo una intensa giornata mio fratello Mauro andò a letto non privato delle ovvie preoccupazioni.

Alle 3 di notte egli sentì arrivare un messaggio sul mio contatto wapp.  Era da parte di mia moglie.

Mi raccontò di essersi alzato di soprassalto convinto che a quell’ora qualunque cosa fosse accaduta non poteva che essere riconducibile alle mie condizioni.

L’inusuale orario lo aveva subito portato a pensare che qualcosa di veramente grave fosse successo. Nell’aprire il display dello smartphone si accorse di altri messaggi inviati sia da mia moglie che da mia sorella.

Ricorda di avere avuto paura di aprirli ma lo doveva fare.

I primi messaggi parlavano di un netto aggravamento delle mie condizioni  e della decisione intrapresa da mia moglie di chiamare con somma urgenza il pronto soccorso.

Veniva stabilito il mio invio  a sirene spiegate e dopo aver riscontrato una poco vitale saturazione pari al 60 % , presso l’ospedale di Foggia.

Il messaggio delle 3.00 trovava il suo epilogo in una drammatica affermazione fatta da mia moglie: “Vincenzo è in pericolo di vita e  potrebbe anche , stante quanto affermato dal medico di turno, non superare la notte!!!”.

La disperazione prese il sopravvento.

I pianti di mia sorella e mia moglie accompagnavano le chiamate che mi fratello si accinse a fare per meglio capirci qualcosa.

Egli si preoccupò di intraprendere colloqui telefonici con i medici della rianimazione ove io, debitamente intubato, fui collocato in coma farmacologico.

Alle ore 8.00 la sua prima chiamata si concluse con un nulla di fatto.

L’infermiera che rispose lo invitò a riprovare alle ore 15.00 poiché i medici erano impegnati nella zona c.d. “sporca”.

Il fatto di aver visto rinviare alle 15.00 la chiamata la prese subito come un buon segno in quanto era chiaro che io ero  ancora vivo.

Alle 15.00 chiamò puntualmente  anche se prima di veder accettata la sua telefonata son dovute passare ben altre 2 ore.

A rispondergli intervenne una dottoressa.

Ella, con una innata cordialità, cercò di indorare la pillola che poco dopodovette comunque ingoiare .

La prognosi data dalla dottoressa parlava di un quadro assai compromesso dovuto ad una grave polmonite interstiziale bilaterale e a delle pericolose embolie polmonari.

Le mie condizioni erano insomma molto gravi per non dire disperate.

Venni, a detta di Mauro e successivamente confermato dai sanitari, sottoposto a cicli di pronazione le cui immagini riportarono alla mia mente quelle crudi  viste solo in tv.

Neanche presso il reparto di pneumologia covid dell’Aquila, ove mio fratello per moltissimi giorni avevo prestato la sua opera lavorativa, Mauro osservò scene di questo tipo.  Eppure in quel reparto non  è stato  difficile assistere a decessi anche in un contesto ove la pronazione e il coma farmacologico ( procedimenti adottati solo in terapia intensiva) non erano state eseguite tali pratiche . Ovviamente tutto questo non deponeva a favore delle sue speranze di vedermi salvo.

Il pessimismo regnava sovrano nella sua mente tanto da non rendergli semplici da fare le  telefonate poi comunque fatte a tutti i componenti della famiglia.

Le stesse erano tutte accompagnate da un semplice: “ le condizioni di Vincenzo sono disperate per cui sarebbe meglio per tutti prepararci al peggio”.

Le lacrime accompagnavano i dialoghi intrapresi con mia sorella e  mia moglie.

Finanche mio fratello Antonio che in cinquant’anni non ho mai visto piangere cedette al fisiologico sfogo di farlo.

Mio fratello si ripropose di richiamare il giorno dopo.

I medici del riuniti di Foggia avevano stabilito nelle ore 15.00 l’appuntamento quotidiano per fare un quadro della situazione.

Le ore a detta sua sembravano non passare mai.

Tuttavia il fatto che non arrivassero chiamate dall’ospedale allontanava sempre più lo spettro di una evoluzione infausta della malattia.

Passò giorni a chiedere informazioni ai medici della rianimazione e, puntuale, alle ore 15.00, lasciava scorrere le sue dita sulla tastiera dello smartphone alla ricerca di un possibile interlocutore.

A volte doveva più volte riprovare  prima di prendere contatto con uno di loro.

Quello del contatto telefonico era l’unico in suo possesso per cercare di capire cosa stesse succedendo. Tuttavia non sempre era possibile parlare con uno di loro.

Il più delle volte erano immersi nel loro duro e costante lavoro presso l’area “sporca” intenti, come lo erano, a cercare di salvare vite umane.

I giorni passavano come minuti.

Tutto questo accadde fino a quando la voce suadente di un medico non  preannunciò a mio fratello un costante seppur lento miglioramento  delle mie condizioni.

Due giorni dopo il miracolo si compiva.

Io che era stato appeso al filo di un destino che non dava certezza circa la mia sopravvivenza venni svegliato dal coma farmacologico.

A detta dei sanitari di Foggia bisognava ancora avere pazienza ed aspettare prima di fugare dubbi sul definitivo ripristino delle mie normali condizioni vitali.

 La certezza per mio Mauro veniva in suo soccorso  il giorno dopo quando inaspettatamente squillò il suo telefono.

Sua moglie non credette ai suoi occhi. Sul display comparve, infatti, il mio nome. La prima telefonata post coma decisi di farla prorpio a  lui, a mio fratello Mauro.

Con fare gioioso sua moglie gli passò subito il telefono.

Con  voce provata riuscii a dirgli poche ma ragguardevoli parole: “ Mauro ho ricevuto un miracolo. I medici con l’aiuto di Padre Pio e Padre Cipriano mi hanno salvato la vita”.

In sostanza ero salvo!!!

Non appena svegliato riuscii a vedere nella stanza 6 pazienti. Erano tutti attaccati a dei macchinari. Gli stessi ai quali ero stato “avvinghiato” io quando la saturazione era pari a 60.

Dietro una vetrata ossrvai la presenza di una persona.

Non so perchè ma la identificai in Padre Cipriano. Lo provai a chiamare seppur dovendo far leva su un immane sforzo. Lui era intento ad osservare tutti i pazienti presenti in quel momento in rianimazione.

Di li a poco una scena raccapricciante mi si presentò ai miei occhi.

Un medico infettatosi presumibilmente a causa del suo lavoro era stato ricoverato anch’esso in rianimazione. Era lui che, minacciando di infettare tutti, andava in escandescenza. Era molto agitato ed esortava il personale medico a fargli immediatamente delle flebo. Non capii cosa precisamente accadde. So soltanto che dopo un po’ di tempo  un carrello porta salme se lo portò via.

Mi rifugiai nella preghiera.

Ricordo che la mattina presto dell’indomani parlai molto di Padre Cipriano ad un’infermiera.

Le parlai di quando il mercoledì sera mi recavo al gruppo di preghiera, da Padre Cipriano messo su per salvaguardare la beatificazione di Padre Matteo D’Agnone; di quando mi recavo al convento di Serracapriola  e di come, officiata la Santa Messa, Padre Cipriano esercitava il suo ruolo di esorcista.

Mi ricordo che all’infermiera, della quale ricordo che il cognome fosse Fontana, le venne la pelle d’oca al solo sentirsi raccontare ciò. Era la stessa infermiera che riuscì a recuperare, persa in un sacco nero di plastica, il rosario che mi regalò Padre Cipriano.

La coroncina mi fu restituita da lei e ricordo che lo fece insieme ad un’altra infermiera di nome Elisabetta.

Da quel momento le mie condizioni miglioravano sempre più col passare del tempo e dopo qualche altro giorno passato nel reparto di terapia intensiva venni trasferito dapprima al secondo piano di pneumologia covid e, successivamente, anche se non ne capivo il motivo, al terzo piano della medesima Unità Operativa.

Qui la situazione peggiorò non per via del Covid ma per le vessazioni subìte ad opera di due pregiudicati.

Mi impaurii tantissimo.

Per un attimo ho temuto che uno dei due mi potesse fare del male.

A nulla valsero le suppliche avanzate nei confronti di un infermiere per il quale ho nutrito addirittura il sospetto che potesse essere loro complice.

La paura mi pervase a tal punto che feci di tutto per uscire da quella stanza ed essere allocato altrove finanche quello di mettere in atto una vera e propria fuga.

Ci riuscii grazie al prezioso contributo di una dottoressa del reparto.

Mi trasferirono dalla camera 4 a quella 8. Qui incontrai una splendida persona di nome Benedetto. Un autentico Angelo al cospetto dei miei occhi. Non perdeva occasione per dividere con me il cibo che gli portava da casa sua sorella.

Il tempo passato con lui passò in un lampo. Benedetto venne dimesso.

Al suo posto furono ricoverati, per mia fortuna, altre due gentiluomini entrambi di Foggia.

Uno di loro, di nome Savino, continuò nell’opera umanitaria intrapresa da Benedetto e anche lui non perdeva occasione per dividersi con me il cibo che gli portavano da casa.

Anche se mi sentivo molto meglio e la Cpap (una speciale maschera capace di insuflare ossigeno nei polmoni) mi fu tolta, risultavo positivo e per tale motivo costretto a non poter uscire, ovvero avere contatti con gli altri.

Mi venne in mente di proporre al medico di turno di ultimare il mio percorso di guarigione all’interno della mia abitazione a  San Severo. Gli raccontai del fatto che mia moglie era risultata positiva anch’essa positiva al Covid ma che nel frattempo ne era uscita fuori. Fu questo a convincerlo ad accettare la mia proposta.

Venni trasferito in ambulanza nella mia casa e li ritrovare il conforto di mia moglie. Conforto attraverso il quale, unito alla fede e alle continue preghiere per Padre Cipriano, riuscii ad affrettare il mio percorso di guarigione.

La mia esperienza oggi la posso raccontare con il senno di poi. Proprio per questo, essendo capace di mettere insieme i pezzi di un puzzle e guardando a quello che mi è successo, potrei tranquillamente affermare che il volto che ne uscirebbe fuori componendo le tessere sarebbe quello di Padre Cipriano. Colui il quale io oggi reputo essere stato, senza ombra di dubbio, il mio salvavita.

In fede

Vincenzo Nardella

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