Abel Ferrara: “Odio i biopic”

È stato uno dei cineasti più significativi degli anni Novanta, con opere quali King of New York, Il cattivo tenente, Ultracorpi – L’invasione continua, Occhi di serpente, The Addiction, anche grazie al sodalizio con lo sceneggiatore Nicholas St. John con cui ha collaborato fino al 1996 con Fratelli (The Funeral). Da tempo residente a Roma ha lì realizzato i suoi film più recenti, come Pasolini, Tommaso, Zeros and Ones. All’intervista era presente Maurizio Braucci, sceneggiatore del film che aveva già collaborato per Pasolini. Braucci, anche scrittore, ha lavorato al cinema con Matteo Garrone, Pietro Marcello, Claudio Giovannesi.
Abbiamo incontrato il regista e lo sceneggiatore durante le Giornate degli Autori veneziane 2022, dove hanno presentato il loro ultimo lavoro, Padre Pio.

Come mai un film su Padre Pio? Conoscevi questa figura anche prima di trasferirti a vivere in Italia?

Abel Ferrara: È sempre stata una presenza, e da quando sono venuto a vivere in Italia è più che una presenza. E ora che sto lavorando a Napoli lo è sempre di più. È un personaggio strano, qui vedo persone col tatuaggio di Padre Pio. Se sei italiano conosci questa roba. Mia nonna nel Bronx vendeva miracoli. Aveva tutti i santini. Le donne del quartiere venivano da lei a offrire dei soldi ai santi e chiedere cose, come una macchina nuova ecc., cose reali. E mia nonna prendeva questi santini e li buttava giù dalla finestra, in strada, distruggendoli e malediva il santo. Sono cresciuto in un ambiente cattolico fin da quando ero giovane, ci sono state inculcate queste cose. Quindi so della sua esistenza, ora perché fare un film su di lui? Doveva venire dopo il film su Pasolini. Facciamo cose in gruppi di tre. Quindi avevamo fatto la storia di Strauss Kahn in Welcome to New York, poi abbiamo fatto Pasolini e volevamo fare Padre Pio ma non è successo allora, è successo adesso.

E perché farlo sui fatti del 1920, scegliendo un momento iniziale della carriera di Padre Pio che combacia con una fase storica delicata del paese?

Abel Ferrara: È come la nascita di una nazione, un momento di speranza in cui c’è la chiesa che dà nuove speranze. C’è la chiesa che è un’entità politica in quella città e ci sono i monaci che vivono fuori dalla città e che non sono una figura politica, offrono qualcos’altro.

Ti sei tenuto molto lontano comunque dal fornat del biopic di matrice televisiva.

Abel Ferrara: Odio i biopic, dimmi quale biopic bello hai visto? Quarto potere? Ok è forse l’unico film che prende un personaggio quando nasce e lo porta a quando muore e non dici «che schifo». Una vita intera è lunga, solo per Pasolini ci potresti fare mille film, ogni cazzo di periodo della sua vita, e anche su questo tizio. Sai, quando era stato messo agli arresti domiciliari, la Seconda guerra mondiale, costruire un ospedale bla, bla, la sua battaglia con il papa Giovanni XXIII, l’ammirazione nei suoi confronti del papa polacco, bla, bla. Non si può, i film sono esperienze di novanta minuti non puoi metterci dentro mille anni, sarebbe assurdo.

Dopo Pasolini, che era parlato a tratti in inglese e a tratti in italiano, qui il film è quasi tutto parlato in inglese. Perché questa scelta?

Abel Ferrara: C’è solo una piccola frase in italiano: «W l’Italia». La solita situazione folle, perché interpretare una persona non è solo le parole e la lingua, è come si muovono le sue mani, è come questa persona è. Degli attori americani avrebbero parlato perfettamente in inglese ma non sono italiani e non capirebbero nemmeno questo fottuto film. Solo Shia LaBeouf l’ha capito. Non saprebbero come muoversi e recitare. Io vivo in Italia e sento le persone parlare nell’inglese più assurdo che si sia mai sentito e a volte è molto meglio e molto più poetico. A volte quando fanno errori dicono cose che mi fanno esclamare: «Wow! A me non sarebbe mai venuto in mente». Vivo in Europa e sono abituato a voi che parlate inglese ognuno in maniera diversa. Ma lo trovo ancora più interessante, quindi uso attori italiani che parlano in inglese, alcuni lo parlano meglio di altri, ma si può capire ogni parola e ce ne siamo assicurati di questo. Nemmeno io parlo inglese! Pensi che questo sia un fottuto inglese? Non capisco, non ho nessun problema. Quando all’inizio il monaco parla a malapena l’inglese, per me è la performance migliore che abbia mai visto in vita mia. Posso prendere un attore americano per doppiare perfettamente quell’attore? Come fai a doppiare 75 anni di quello che è. È impossibile, bro!

Ci sono anche attori non professionisti?

Abel Ferrara: Ci sono attori e non attori, tutti i monaci sono monaci davvero. Tutte quelle facce non le puoi trovare in attori. Abbiamo girato esattamente dove è avvenuto.

La figura di Padre Pio è storicamente controversa. Rappresenta un culto ancora popolarissimo in Italia, ci sono le sue immagini ovunque. Ma il dibattito storico è acceso. Non hai pensato di rendere questa ambiguità del personaggio?

Abel Ferrara: Confessa i poveri, dice messa, piange sull’altare. Combatte il diavolo così non devi farlo tu. Si chiude a chiave in una stanza e quando i monaci aprono la porta il giorno dopo c’è sangue dappertutto, ci sono sedie rotte. Sta combattendo per te! Cosa c’è di ambiguo? Se è ambiguo non lo è per lui, lo è per te. Io sono buddista, non credo nel diavolo ma credo che lui ci credesse e credo che quello fosse il suo servizio. Non era andato in guerra, sta combattendo una guerra più grande, una guerra vera. Quella è la guerra!

Non risulta che Padre Pio si sia mai espresso sull’eccidio dei braccianti del 14 ottobre 1920, avvenuto a pochi passi dalla sua cella. Tu lo mostri nella scena successiva della strage con delle braccia con le stimmate. Ufficialmente le prime stimmate erano nel 1918. Volevi comunque esprimere una sofferenza che non avrebbe potuto non provare per quel barbaro massacro?

Abel Ferrara: Le stimmate sono avvenute, non ce le siamo inventate. Anche se non è successo proprio nello stesso momento. Trenta persone sono morte e lui ha avuto le stimmate. Non potevamo non farci un film. Hai qualche altro soggetto più interessante, che sia anche assolutamente vero? Quella è la sua espressione per quello che stava succedendo. Stiamo facendo un film, per cui non voglio cominciare due anni prima. Quell’evento è accaduto, magari poteva essere il flashback di due anni prima. Ma per il nostro film non era due anni prima, era esattamente allora. Qual è stata la sua risposta alla violenza politica? La sua risposta è stata un sanguinamento inconscio dalle sue mani. La risposta a quello che stava succedendo a livello politico non poteva essere una risposta politica. Perché siamo in un litigio continuo. Litighiamo sempre, Trump è contro Biden, Alexandria Ocasio-Cortez contro ‘sto tizio del cazzo, estrema destra contro estrema sinistra. C’è una risposta superiore a tutta questa merda e questa è la sua risposta. Cos’è il crocifisso, perché tutto il mondo venera il crocifisso? È una risposta di compassione, di sacrificio. Il personaggio dice all’inizio del film: «Devi dare il tuo corpo, devi dare il tuo sangue». Succede volontariamente o involontariamente? È anche un percorso per credere. Lui stesso sta mettendo in dubbio la sua spiritualità e in quel momento sta avendo la sua comunione con Cristo, che è l’unica risposta a spararsi l’un l’altro. Che altre risposte ci sono? Dobbiamo spararci o possiamo amarci? Non c’è una via di mezzo. Lui aveva previsto i cento milioni di morti della Seconda guerra mondiale. Non era uno stupido, non c’era bisogno di essere un veggente per arrivarci. Osservava il suo piccolo paese e capiva. Come adesso, sono appena tornato da Kiev perché stiamo facendo un documentario là. Puoi vedere che sta succedendo proprio adesso, c’è la Terza guerra mondiale, proprio davanti ai nostri occhi, e puoi discuterne. Ognuno ha la sua stronzata da dire: «Dategli armi, il Donbass, bla bla bla». Queste persone sono in un quartiere come questo con palazzi come questi che esplodono. Ero là! E quelle persone lì non sono militari. Lui aveva capito quello che stava per succedere. Qual è la risposta all’omicidio? L’amore, la compassione, è l’unica risposta.

Le riprese in Puglia sono state problematiche o è andato tutto liscio?

Abel Ferrara: Noi lavoravamo seguendo un copione per molto tempo. C’è una cosa positiva nel non avere i soldi fin da subito, cioè avevamo il tempo dalla nostra parte. Quando hai così tante persone, e nessuno parla inglese, non è rock’n roll. Avevamo tantissime persone e dunque avevamo bisogno di un piano ben preciso. Non c’era nessun altro modo di fare le riprese. Abbiamo girato velocemente, ma non troppo velocemente. 18 o forse 20 giorni. Di solito ci mettiamo 12 o 13 giorni. Zeros and Ones è stato girato in 12 giorni, Tommaso in15 giorni, Il cattivo tenente in 13 giorni. Qui è stato un po’ più complicato, c’erano riprese con cavalli, nessuno parlava inglese. Nemmeno una persona in tutto il posto dove eravamo. Nemmeno una parola, non sanno nemmeno dire hello. Il mio italiano poi è terribile, so dire ciao, so ordinare un caffè e so chiedere dove è il bagno e tutto qua, non posso mettermi a dirigere gli attori in italiano.

Perché hai scelto Shia LaBeouf e come hai lavorato con lui? Ho sentito che ha passato molto tempo nel monastero.

Abel Ferrara: Abbiamo avuto una conversazione e subito dopo lui è salito sulla sua macchina ed è andato in un monastero in California per starci tre mesi. Non avevamo parlato di soldi né di quando avremmo girato, non avevamo ancora parlato di niente. Questo ragazzo l’ha capito, era in un momento della sua vita in cui nessuno lo stava ingaggiando, e noi gli abbiamo dato un ruolo. I monaci l’hanno accolto subito. Questa è stata la cosa stupenda. Sto parlando di Pio, la prima cosa che un attore mi direbbe è che avrebbe fatto chiamare il mio produttore dal suo agente. Chiedendo dettagli, quanto lo pagano, potete pagare per il volo per lui e i suoi figli e il suo cane, in che hotel, starà. Sarebbe passato un mese prima della chiamata dell’agente a Diana Philips, la mia produttrice. Qui il ragazzo è subito saltato sulla sua fottuta macchina, non ha nemmeno chiesto per i soldi. I monaci ci hanno fatti entrare, non mi hanno guardato dicendo: «Questo tizio ha fatto un porno, cosa cazzo ci fa un buddista qui». Non sono così, bro. Gli abbiamo detto che volevamo fare un film su Padre Pio e ci hanno detto: «Va bene, figo». Nessun cinismo, zero! Se leggi tutte queste critiche, c’è così tanto cinismo dal mio paese, tutto è cinico. Ogni parola è una parola cinica, mi fa impazzire. Questi tizi ci hanno accettato, avremmo potuto rappresentare Padre Pio come uno stronzo. Abbiamo portato delle tipe nude nel monastero. Ma ci credevano, gli importava e alla fine ci hanno manipolato. Ci hanno dato così tanto amore che ci hanno tormentato. Hanno ottenuto le cose che volevano, hanno tutti amato questo film, non ce ne è uno che non l’abbia amato. E l’abbiamo mostrato dappertutto, a Los Angeles, a San Giovanni Rotondo, dove il monaco capo lo ha definito come un capolavoro. I critici nel mio paese non lo chiamerebbero un capolavoro. Anche qui a Venezia sono venuti dei cappuccini, alcuni locali, altri sono venuti da San Giovanni Rotondo in limousine [ride, N.d.R.]. Ho cercato di incontrare il papa, ma non ci sono riuscito. Volevo che vedesse questo film, decisamente, ma non lo so, non credo nemmeno che guardi i film.

Maurizio Braucci: Questo papa sta cambiando la chiesa e dimostra che è possibile essere cattolici e socialisti. Sappiamo che tutti i socialisti in Italia sono sempre stati cattolici ma non lo hanno mai ammesso. Questo papa gli dà la possibilità di ammetterlo, questa sarebbe la soluzione non solo per il nostro paese ma per tutto il mondo cattolico. È l’unica figura internazionale che sta cercando di avere qualche effetto sul processo di pace.

Abel Ferrara: Anche il Dalai Lama.

Hai sempre rappresentato l’ossessione religiosa nel tuo cinema. Ora che sei buddista, qual è la tua relazione attuale col cattolicesimo?

Abel Ferrara: Sono più cattolico ora che sono buddista. Sono più connesso a Cristo. È la stessa religione, il Dalai Lama a uno come me direbbe di rimanere con la sua religione. Perché potresti scoprire che nella parola di Gesù c’è tutto il buddismo. Puoi diventare un buddista, va bene, ma dovresti imparare il tibetano e l’indiano perché così capiresti la lingua e le cazzate. Ma non è quello il punto. Il punto è o trovi la spiritualità o non la trovi. Nella fottuta Kiev abbiamo parlato a un sacerdote della chiesa ortodossa, avrà avuto 35 anni. Sembrava di essere qui. Immaginatevi che lì ci sia una chiesa russo ortodossa. L’Ucraina è come se Ivan il terribile ci abitasse. Sembra Cincinnati o Bergamo. Arrivano, con i carri armati, il prete esce e dice: «Fratelli siamo tutti ortodossi, che problema c’è?» Con un carro armato hanno fatto saltare in aria la chiesa. Quando questi cazzo di carri armati colpiscono una casa la fanno fuori completamente. Sono super moderni. Questa è stata la risposta, siamo tutti ortodossi e allora? Ti ho appena distrutto la tua cazzo di chiesa, vaffanculo voi siete ucraini noi siamo russi. E sai cosa ha detto il prete? Non abbiamo scelta, ha benedetto le armi. Non abbiamo scelta con queste persone, combatteremo fino all’ultimo ucraino. Con queste persone non possiamo vivere e non siamo russi, quella è una cosa che pensa solo Putin. Non l’ho sentita dire da nemmeno un ucraino.

Credi che il cinema possa ancora fare qualche differenza? Che impatto può avere la visione di un’opera come Padre Pio?

Abel Ferrara: Alla proiezione di ieri sera c’erano 500 persone. Pasolini è uscito negli Stati Uniti solo 5 anni dopo che l’avevamo fatto e poi adesso è su Netflix. Puoi guardarlo o no. E comunque chi se ne frega? Non mi interessa se il film durerà per sempre o se tra 100 anni ci saranno ancora eschimesi che lo guarderanno al Polo Nord. Chi può sapere quante e quali persone lo guarderanno? Magari sulla luna lo guarderanno. In una proiezione come questa, la luce si spegne nello spazio, e tra due miliardi di anni luce qualcuno capterà quel segnale e lo guarderà in qualche pianeta a un zilione di miglia da qui. Non mi preoccupa. Il film potrebbe anche non piacere loro. Direbbero che cos’è sta cazzata con un tizio italiano che cerca di parlare in inglese.

Non credi che il covid abbia inibito la fruizione nelle sale? Forse finalmente ora si sta tornando alla normalità.

Abel Ferrara: Non me ne frega un cazzo, possono guardarlo sul telefono o su un ipad. Non mi importa, non ho la religione della sala cinematografica. Lo schermo del cinema ieri sera era troppo piccolo. Il suono era un po’ incasinato. Certo mi ha fatto piacere esserci ieri sera, ma sono anche sempre nervoso, c’è chi sta parlando, chi sta tossendo, il telefono di qualcuno squilla nel momento più importante. Preferisco vedermelo con il mio Imac pro con lo stereo. La maggior parte della gente ha schermi in casa sua con dolby sorround. Questo film è un’esperienza migliore a casa rispetto a ieri sera. Ok, però c’erano 500 persone, che sono 500 possibilità in più che io prenda il covid, 500 possibilità in più che io prenda l’influenza. Bisognerebbe offrire qualcosa per cui valga la pena andare in sala.

Abel Ferrara: “Odio i biopic” – Intevista a Venezia 2022 | Quinlan.it